Argentina. Milei, i cento giorni del Leone con la motosega
Proteste al Congresso contro il governo ultraliberista di Javier Milei
"Vent'anni sono nulla", cantava Carlos Gardel. Nei parametri argentini, allora, figuriamoci cosa possono essere cento giorni per valutare l'impatto di un governo. Nel caso del "dirompente" Javier Milei alias "Il Leone", però, è possibile quantomeno vedere quale direzione sta prendendo la Repubblica del Plata alle luce delle decisioni prese - spesso con la motosega - dal presidente entrato in carica il 10 dicembre scorso.
Il primo successo di Milei è di tipo semantico. E' riuscito a cambiare la narrativa, passando dal motto kirchnerista dello "Stato presente" - spesso onnipresente - all'attuale leitmotiv "non ci sono più soldi", dunque inutile chiedere, ciascuno è in balia di se stesso o del mercato. In pratica, per parafrasare l'analista Pablo Narvaja, la società è passata dall'eccesso di aspettative, che hanno caratterizzato l'amministrazione di Alberto Fernández, a una sorta di rassegnazione collettiva di fronte ai tempi di vacche magre. Magrissime in realtà. Nella speranza che la cura d'urto del presidente rianimi l'economia al collasso. «A differenza di buona parte dei leader della cosiddetta "nuova destra", Milei non ha elaborato una ideologia reazionaria di tipo strutturato - afferma Pablo Semán, sociologo e tra i primi studiosi della destra argentina, a cui ha dedicato il recente saggio "Está entre nosotros" (E' già fra noi). Il suo interesse è prevalentemente economico».
In questi cento giorni l'ha ampiamente dimostrato. Certo, ha mutuato lo stile muscolare per quanto riguarda la sicurezza, con l'invio dell'esercito a Rosario in funzione anti-crimine, e la "guerra" con i media, come dimostra la chiusura dell'agenzia Telam. Milei, però, si è concentrato soprattutto nel perseguire con ostinazione il pareggio di bilancio e ha raggiunto perfino il surplus a gennaio. Un fatto insolito per le finanze argentine. A febbraio, inoltre, c'è stato un primo lieve calo dell'inflazione - almeno in base gli standard nazionali -, dal 20,6 per cento al 13,2 per cento. Per raggiungere il proprio obiettivo, però, ha falciato la spesa sociale, facendo schizzare la povertà - già alta - al 57 per cento, secondo gli ultimi dati dell'Osservatorio della deuda sociale dell'Università Cattolica argentina. La quota più alta dal crack del 2001. Le pensioni sono state ridotte ai minimi termini, i sussidi eliminati con un incremento vertiginoso dei prezzi di farmaci e energia, i lavori pubblici - importante fonte di occupazione - bloccati. Soprattutto, il governo ha azzerato le forniture alle 50mila mense popolari, auto-organizzate da Chiese, movimenti e organizzazioni - da cui dipendono per sopravvivere quattro milioni di persone. La misura ha suscitato forti proteste ma il governo finora ha rifiutato di fare marcia indietro.
Fila di fronte a una mensa popolare a Buenos Aires - Reuters
«Milei non è un negoziatore. Concepisce il suo programma come una sequenza di fasi da applicarsi in successione. L'equilibrio fiscale è solo la prima. Poi viene la dollarizzazione e la riforma politica. Non può, dunque, ammettere condizionamenti, perché la rimodulazione di una parte può determinare il fallimento del tutto», sottolinea Semán. Questo spiega i toni sempre più duri nei confronti del Congresso che ha bloccato il maxi-decreto di liberalizzazione e rifiuta di concederli «poteri speciali». Per convincere l'opposizione, il governo l'ha invitata a firmare un patto per una nuova Argentina il 25 maggio, festa nazionale. In cambio, però, quest'ultima dovrebbe sostenere le sue misure di "apertura al mercato".
«Milei ha vinto in modo legittimo. Il suo modo di governare presenta, però, dei tratti autoritari. Resta da capire se si riuscirà a mettere un freno a quest'attitudine o se la sua "aggressività" aumenterà ulteriormente. E crescerà l'arbitrarietà. Questo è uno dei fattori da cui dipende l'evoluzione del governo. L'altro è la povertà. Ancora gli argentini sembrano capaci di sopportare. Stanno, però, raggiungendo la soglia», afferma Narvaja, direttore del dipartimento di Sviluppo produttivo dell'Università di Lanús. Sulla stessa linea Semán: «Milei ha due strade. O diventa più dialogante, il che è difficile data la sua struttura mentale. O più conflittuale. Il che lascia lo scenario molto aperto».