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Metalli «di guerra», regole Ue più severe

Giovanni Maria Del Re giovedì 21 maggio 2015
Le imprese che importino metalli rari e preziosi dovranno dimostrare di aver evitato di finanziare i signori delle guerra, che spesso dominano le miniere in regioni come il Congo orientale o la Repubblica Centrafricana. Con un voto a sorpresa ieri il Parlamento Europeo riunito in plenaria a Strasburgo ha votato un testo legislativo che proprio questo chiede, con un drastico inasprimento rispetto alla bozza preparata nel marzo 2014 dalla Commissione Europea.  Al centro sono quattro metalli: stagno, tantalio, tungsteno e oro (in gergo “3T”) cruciali nel settore dell’elettronica. La bozza della Commissione Europea era decisamente tenue, non prevedendo alcun obbligo, ma lasciando agli importatori in Europa di 3TG di attuare un “dovere di diligenza” su base volontaria, con una mera autocertificazione facoltativa. E il testo di compromesso approvato in aprile in sede di commissione Commercio Estero del Parlamento Europeo con i voti di liberali, conservatori e popolari, andava solo poco più in là, introducendo un obbligo di certificazione solo per una ventina di fonderie e raffinerie europee.  Troppo poco per varie Ong e attivisti, un appello a regole più cogenti e per l’intera filiera era stato lanciato da varie personalità come il ginecologo congolese Denis Mukwege, vincitore del premo Sacharov 2014, o Edward Zwick, regista del film 'Blood Diamond'. Con loro si sono schierati Socialisti e verdi europei che ieri sono riusciti a far approvare – con l’ausilio di vari liberali “dissidenti” – emendamenti che sostituiscono la volontarietà con l’obbligo, che inoltre si applica all’intera filiera (circa 800.000 le imprese Ue coinvolte). «Abbiamo dimostrato – ha commentato il presidente del gruppo dei Socialisti e democratici, Gianni Pittella – che l’Ue ha a cuore i diritti umani e la dignità umana al di là di vuote dichiarazioni». «Il voto di oggi in seno al Parlamento europeo rappresenta una grande vittoria per le comunità interessate da violazioni di diritti umani alimentate dall’estrazione di risorse naturali»: questo il commento positivo del Cisde (alleanza internazionale delle agenzie di sviluppo cattoliche).  Delusa invece BusinessEurope, che rappresenta le confederazioni industriali dei 28 Stati membri, si è detta delusa, il sistema votato a Strasburgo, ha detto il direttore generale Markus Beyrer, «non è né praticabile per gli operatori, né fornirà soluzioni concrete ai conflitti». La battaglia è solo agli inizi. La normativa deve essere approvata anche dal Consiglio Ue, che rappresenta gli Stati, molti dei quali sulla linea morbida della Commissione Europea. Trovare un compromesso non sarà facile.