Denuncia. «Centri di sterminio in Messico», trovati migliaia di resti di desaparecidos
Una terra senza legge in mano ai narcotrafficanti. La protesta dei familiari di alcuni desaparecidos messicani
Sono stati ritrovati più di 867mila frammenti umani bruciati in 7 centri di sterminio in Messico. Siamo nel Nord del Paese, a Nuevo Leòn, lo Stato che confina con il Texas, polverosa e arida frontiera percorsa dai migranti per giungere negli Usa. La macabra scoperta è stata comunicata da Fundel (Fuerzas unidas por nuestros desaparecidos), organismo che riunisce i familiari delle vittime delle persone scomparse, i desaparecidos, e promosso dal governo dello Stato di Nuevo Leon, dall’ufficio del procuratore generale dello Stato e dalle Commissioni di ricerca nazionale. È il tragico epilogo di una battaglia per scoprire la verità avviata da Fundel a partire dal 2014 per sapere dove fossero spariti a chi un figlio, a chi una sorella o un padre.
«La Commissione nazionale di ricerca (Cnb) ha confermato l’esistenza di “centri di sterminio” per persone scomparse in diversi Stati della Repubblica, scoprendo un livello massimo di crudeltà e un sistema operativo che poteva funzionare solo con la complicità o il silenzio delle autorità», scrivono i responsabili di Fundel. E non potrebbe essere diversamente se consideriamo il numero enorme dei ritrovamenti.
Il rapporto fa riferimento ad almeno sette «centri di sterminio», ossia siti di uccisione e interramento di vittime della guerra tra le bande dei narcotrafficanti che da decenni si uccidono per il controllo del territorio, di uomini e donne sequestrate e mai più liberate, di persone ammazzate per il traffico di organi, di migranti che non avevano più nulla da contraccambiare in cambio delle loro vite. Una silenziosa guerra che si combatte contro gli ultimi della terra sul confine messicano: 867.556 i resti umani recuperati. Femori, tibie, crani, mani e altro, con evidenti segni di bruciatura per renderli irriconoscibili alle ricerche dei loro cari.
Il ritrovamento non lontano da Monterrey, metropoli tra le più ricche e popolose del Messico. Il territorio, circondato da montagne e aree semidesertiche, è il campo di azione delle bande dei narcos, prima fra tutte quella dei Los Zetas che da anni non vuole avere concorrenze nel traffico della droga, dei migranti e del crimine in genere.
Non è stato facile per la portavoce del movimento, Leticia Hidalgo, ricevere con trasparenza i dati dalle autorità: si tratta di un braccio di ferro che da anni Fundel sta portando avanti con chi dovrebbe proteggere la popolazione impunemente colpita e informare sulla violazione dei diritti umani. I resti ora sono a disposizione di 4 procuratori di Stato e del procuratore generale della Repubblica, in attesa di identificazione attraverso analisi genetiche, se il deterioramento delle ossa lo consentirà.
«Quello che è successo in questi Stati del Paese durante l’amministrazione dell’ex presidente Felipe Calderón mostra un fallimento dello Stato che ha permesso la scomparsa di migliaia di suoi cittadini – denuncia Karla Quintana, titolare della Commissione nazionale di ricerca delle vittime –. Questi sono forni crematori, che possono ricordare quelli della Seconda guerra mondiale. Qui hanno cercato di far sparire, polverizzandole, centinaia di persone affinché non ne rimanesse traccia», sottolinea. Per i familiari delle vittime inizia adesso un’attesa terribile per sapere se i resti dei loro cari sono tra quelli che stanno riemergendo nel deserto messicano.