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Voto in Messico. Chi è Amlo, il presidente progressista anti-Trump

Lucia Capuzzi e Redazione Internet lunedì 2 luglio 2018

Obrador (Ansa)

Andres Manuel Lòpez Obrador (Amlo) è il nuovo presidente del Messico. La sua vittoria schiacciante - il 53 per cento secondo le prime rilevazioni - ha fatto sì che dopo decenni diventasse il primo esponente di sinistra a guidare il paese. Gli exit-poll hanno subito evidenziato la sua netta vittoria. Gli altri candidati, Ricardo Anaya, che guida un'alleanza tra destra e sinistra e Jose Antonio Meade del Partito Istituzionale Rivoluzionario hanno ottenuto rispettivamente il 22% e il 16%. Durante il periodo di transizione, sino al giuramento del primo dicembre, sarà Alfonso Romo a prendere in mano gli affari economici per il nuovo presidente messicano Andres Manuel Lòpez Obrador. L'uomo d'affari si è distinto come una voce moderata nel team di Lòpez Obrador e supporta una politica economica che permetta investimenti esteri nel settore dell'energia.

pez Obrador si è espresso contro la corruzione e ha annunciato che non ci saranno confische né espropriazioni. Ha aggiunto che non ci sarà necessità di aumentare le tasse o far crescere il debito nazionale. Il presidente ha anche dichiarato che diminuirà le spese per mettere più denaro a disposizione degli investimenti pubblici. Per quanto riguarda i rapporti internazionali, Lòpez Obrador ha fatto sapere che cercherà di avere buoni rapporti basati su cooperazione e sviluppo con gli Stati Uniti.

Su Twitter Trump, dopo essersi congratulato con il vincitore, ha assicurato: «Sono ansiosissimo di poter lavorare con lui. C'è molto che può essere fatto per beneficiare a Stati Uniti e Messico!». Amlo ha risposto con la mano tesa e l'invito a lavorare insieme. Del resto i dossier aperti fra le due nazioni sono tanti e cruciali, dal muro alla riforma del trattato di libero scambio (Nafta).

Il politico testardo e i nuovi equilibri continentali

El Zocalo, di nuovo. La piazza più grande del Messico e del mondo ha accolto il bagno di folla, ieri notte, riunita per celebrare la vittoria di Andrés Manuel Lopez Obrador. Lo stesso luogo dove, nel 2006, l'allora sconfitto Amlo si accampò per mesi, per denunciare presunti brogli con cui gli sarebbe stata scippata la vittoria. La protesta fu un fallimento. Eppure ora, 12 anni dopo, Amlo ha conquistato per via elettorale "il trono dell'aquila", come viene chiamato il seggio presidenziale. Certo, in questo arco di tempo, il Paese è cambiato. Una narco-guerra da 93 morti ammazzati al giorno insanguina almeno 23 dei 32 Stati della Repubblica. Ma a mutare è stato lo stesso Amlo. Messi da parte i toni radicali, l'ex sindaco di Città del Messico (2000-2005) ha incentrato la campagna elettorale sulla lotta alla corruzione e la riduzione della violenza, non per via militare, però - come fatto finora -, bensì attraverso la creazione di programmi sociali per la metà della popolazione sotto la soglia di povertà e la realizzazione di un programma di pacificazione nazionale. Agli occhi degli elettori, Lopez Obrador è apparso come una possibilità di cambiare strada, rispetto alla strategia - fallimentare - attuata finora. Agli avversari che lo accusavano di essere un nuovo Hugo Chavez, il neoeletto ha risposto con un discorso di unità e di riconciliazione. E con un programma più socialdemocratico che radicale, come dimostra la partecipazione di diversi imprenditori nella sua squadra. Solo una strategia? In realtà, il suo stesso successo - il più grande ottenuto finora da un capo dello Stato messicano - sembra condannarlo a governare in modo inclusivo, isolando le ali estreme. Da quanto Amlo sarà in grado di farlo dipenderà il futuro del suo governo. E del Messico.