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Messico. «Comedor Santa Maria»: franchising della solidarietà

Nicola Nicoletti (Città del Messico) venerdì 17 febbraio 2017

Lla mensa di Santa Maria a Città del Messico

Più di duemila bimbi sfamati al giorno. Da quelli ancora in grembo alla mamma sino ai 17 anni, in un ambiente sereno e allegro. Un corso di formazione in valori umani su pace, igiene, giustizia, rispetto. Una struttura completamente privata, senza un soldo statale, con grande impegno di volontari e addetti al servizio mensa per le compere di cibo scelto da alimentaristi. Operatori che si muovono su 4 Stati in 20 città messicane. È il “Comedor Santa Maria”, la mensa di Santa Maria, dove, in un Paese che ospita l’uomo tra i più ricchi del mondo come Carlos Slim, c’è anche chi muore di fame.
L’esperienza di franchising sociale con 22 mense parte in una delle capitali più congestionate del pianeta: Città del Messico, megalopoli in cui spazia una folla di 9 milioni di anime. Panorami di bellezza pura, arte, colori e allegra convivenza ma anche di spazi asfissianti, catapecchie e improbabili strade periferiche in cui non ci si ferma mai. Periferie, direbbe papa Francesco.
Qui la signora Alicia Mier y Tiran si reca a dare del cibo a chi non riesce a campare, famiglie poverissime che fanno della discarica il loro supermarket. Siamo alla fine degli anni novanta, ma l’intuizione è subito chiara: da soli non si può. Inizia così, nel 1998, la costituzione di un progetto da parte di un gruppo di amici che inventano il Comedor Santa Maria, un posto in cui sfamare i bambini. La mensa si organizza in maniera da ricevere fondi da privati, o direttamente derrate alimentari. Inizia ad arrivare di tutto, ecco allora la necessità di ricorrere a dei sanitari che possano compilare una dieta idonea per i bambini. «Le loro condizioni sono di miseria», racconta Sara Cuellar, una delle prime collaboratrici di Alicia.
Minuta ma iperattiva, la donna collabora all’équipe che si interessa alla vita del progetto. Centenario, Ajusco, Jalapa, San Lorenzo, Hornos, Parras, sono le municipalità che seguono quelle del primo nucleo a Città del Messico. Si provvede alla scelta dei locali idonei, all'individuazione di sedioline, tavolate per favorire la socializzazione. E poi delle cucine. Perché i cibi devono essere freschi, preparati in loco, dal mais ai fagioli, dalla carne alla frutta, senza dimenticare il dolce. Partito il progetto si va alla costruzione di dispensari e celle frigorifere. Ci si organizza con i bilanci amministrativi, poiché le cuoche, anche loro provenienti da famiglie umili, devono essere pagate, così come i fornitori quando non si trova chi doni latte, farina o zucchero.
Una rete per aiutare nell’alimentazione le famiglie più povere del Paese. Sul dépliant in cui emergono il bianco e l’azzurro, i colori base per tutte le mense, si legge che il 30% dei bimbi del comedor mangia solo grazie a loro. Gli ospiti, oltre a non gravare sulle fragili ossa delle loro povere famiglie, iniziano a mangiare cibi sani, tutti i giorni, con vitamine e proteine necessarie. E non solo.
Apprendono gli elementi essenziali di igiene, lavandosi le mani prima di sedersi a tavola, norme essenziali per evitare malattie. Violenza, promiscuità e aggressività sono i compagni di vita di troppi bambini. Inizia un programma per scoprire la tolleranza, l’amicizia e l’allegria. La responsabile di ogni mensa, dopo la preghiera, esprime con messaggi semplici una serie di valori. Li scrive alle pareti per farli memorizzare. «Dignità e autostima sono importanti come il cibo – spiega Sara – ecco perché prima con loro, poi con le famiglie, cerchiamo di comunicare, con un sorriso, un mondo diverso».