Denuncia. «Il Messico è un enorme cimitero dei migranti», 120mila scomparsi in 10 anni
Migranti centroamericani al confine con gli Stati Uniti
«Il limite di capienza per ospitare i migranti è prossimo, per la fine dell’anno inizieranno le difficoltà per l’accoglienza». Matamoros è allo stremo. Sono stati oltre 10mila richiedenti asilo centroamericani, spediti dagli Usa ad attendere l’esito della domanda nel secondo semestre del 2019 nell’ambito del programma “Remain in México”.
«E altri duemila arriveranno nei primi giorni giorni di gennaio», afferma il vescovo, Eugenio Andrés Lira. Fra loro anche molti messicani rimpatriati, nell’anno che le espulsioni sfiorano quota 150mila. «Spesso sono persone del Chiapas e Guerrero, a migliaia di chilometri di distanza dal confine e hanno necessità di una sistemazione temporanea prima di poter tornare a casa», spiega il delegato alla Pastorale dei migranti, Antonio Sierra. Non sono poche le volte che i richiedenti ospitalità, non sapendo lo spagnolo, comunicano con le lingue indigene, generando una difficoltà per chi li accoglie.
A questi ospiti abituali si sono aggiunti i migranti arrivati da Angola e Congo, vittime di povertà e disordini politici. Esauriti i posti nella casa del migrante San Juan Diego e San Francisco, la diocesi ha aperto le porte della chiesa di Guadalupe. Ma lo spazio non è mai abbastanza.
La politica migratoria restrittiva di Andrés Manuel López Obrador – per scongiurare le minacce dell’ingombrante vicino Donald Trump – ha creato un duplice imbuto. A sud, dove la Guardia nazionale impedisce ai nuovi arrivati da Honduras, El Salvador e Guatemala di proseguire fino al confine con gli Stati Uniti. E lungo quest’ultimo dove Remain in México ha concentrato quasi 60mila centroamericani, in attesa che i giudici statunitensi decidano di concedere loro lo status di rifugiati.
Non solo. Il giro di vite ha spinto i migranti nelle aree più remote e pericolose del Messico. Dove i narcos, con la collaborazione di interi pezzi di istituzioni corrotte, dettano legge. Il rischio per chi le attraversa è, dunque, altissimo.
«Abbiamo notato un preoccupante incremento di quanti scompaiono. Non parlo di sequestri che pur sono aumentati. Bensì della pratica, non nuova, dei narcos di catturare i migranti, considerati prede facili, e farli svanire nel nulla. Non prima di avervi tratto il massimo profitto possibile.
Tanti vengono arruolati e impiegati come carne da cannone negli scontri con altre bande. O rivenduti nei mercati della prostituzione forzata, degli organi, della pedofilia. I loro corpi vengono, infine, disseminati nelle migliaia di fosse comuni sparse per il Paese.
Il Messico è un enorme cimitero di migranti», denuncia ad Avvenire Ana Enamorado, della “Carovana delle madri”, gruppo di mamme centroamericane che, ogni anno, percorre il Messico alla ricerca dei figli scomparsi.
L’organizzazione ha calcolato che, negli ultimi dieci anni anni, sono almeno 120mila i migranti desaparecidos. «Abbiamo realizzato un vasto censimento fra i gruppi attivi nel Centro America. Tenendo in considerazione quanti partono, siamo riusciti ad ottenere una stima, molto al ribasso, di quanti si “perdono per strada”.
Il loro numero andrebbe aggiunto a quello dei messicani desaparecidos durante la narco-guerra. Ma il governo rifiuta di farlo, nemmeno li menziona», aggiunge la donna, mamma di un giovane honduregno scomparso nel 2008. Per cercarlo, Ana si è trasferita in Messico. «Ovunque sia mio figlio, voglio sappia che non l’ho abbandonato».