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Il giallo. Sudan, Meriam ancora trattenuta dalla polizia

mercoledì 25 giugno 2014
Ridda di notizie e smentite sulla sorte di Meriam Yahia Ibrahim Ishag, la cristiana sudanese condannata a morte per apostasia e poi rilasciata su ordine della Corte d'appello sudanese. La donna, che alcune associazioni locali davano per libera, in realtà è ancora in stato di fermo nella stazione di polizia deldistretto Arkawet a  Karthoum. Verrà liberata se ci sarà una persona a garantire per lei. Ma l'avvocato della donna ha rivelato che finora le persone proposte come garanti non sono state accettate.Meriam era stata fermata mentre si accingeva a lasciare il Sudan con il marito Daniel, cittadino americano, e i due figlioletti. Una questione di documenti, è stato detto dalle autorità, che però ancora non si sblocca e non si sbloccherà nemmeno nelle prossime 72 ore. Così ha assicurato l'avvocato della donna ad Avvenire. Il marito, che formalmente non è indagato, non ha voluto lasciare la moglie e ora l'intera famigliola è bloccata.

Il marito mercoledì aveva lanciato un grido d'aiuto all'Italia, che ha trovato la risposta del viceministro degli Esteri Lapo Pistelli. "Andrò in Sudan la prossima settimana e se il caso non sarà risolto lo affronterò negli incontri di vertice", ha annunciato Pistelli all'Ansa, invitando a "mantenere alta la guardia" sulla vicenda. E giovedì sulla vicenda è intervenuto anche il ministro degli Esteri Federica Mogherini. L'Italia ha "avviato i contatti, nel rispetto delle autorità locali" per arrivare "in tempi brevi a una soluzione positiva e definitiva" per Meriam, ha detto a  Radioanch'io dopo l'appello del marito della donna al nostro Paese. "L'Italia si è spesa molto sin dall'inizio" e "in queste ore continuiamo a lavorare con un team legale", ha spiegato la titolare della Farnesina.La vicenda di Meriam sembrava essersi risolta il 23 giugno, quando la Corte d'appello del Sudan aveva annullato la sentenza di condanna a morte per apostasia e quella a 100 frustate per adulterio. Invece mercoledì Meriam, il marito e i due figli (Martin di 2 anni e la piccola Maya nata in carcere il 27 maggio) sono stati fermati dagli agenti dei servizi segreti del Niss. Tutti sono stati poi trasferiti in un centro di detenzione vicino all'aeroporto di Khartoum. Dopo il fermo, sembrava che la donna sarebbe stata rilasciata a breve, trattandosi soltanto di una questione procedurale. Il portavoce del Dipartimento di Stato americano Marie Harf aveva confermato, citando rassicurazioni delle autorità sudanesi, che la donna era stata solo fermata, e che presto sarebbe potuta ripartire. Secondo i servizi segreti del Niss, infatti, Meriam avrebbe tentato di viaggiare con dei documenti irregolari. In particolare, la donna era in possesso di un documento dell'ambasciata del Sud Sudan e di un visto per gli Stati Uniti. Il caso ha scatenato una situazione di tensione diplomatica: il ministro degli Esteri sudanese ha deciso di convocare l'ambasciatore americano e quello del Sud Sudan riguardo alla vicenda. Kau Nak, incaricato d'affari all'ambasciata del Sud Sudan, ha insistito sulla validità del documento di viaggio di Meriam. "È il classico documento che rilasciamo ai nostri cittadini quando tornano a casa". Kau Nak ha poi precisato che anche Meriam avrebbe potuto usufruirne perché il marito e i figli sono cittadini del Sud Sudan. Ma Khartoum insiste: quei documenti non sono validi.