Il dietrofront. Dopo il midterm, Biden perdona il principe saudita MbS
Joe Biden e Mohammed bin Salman a Gedda il 15 luglio scorso
Il loro saluto al vertice di Gedda, in Arabia Saudita, pugno contro pugno, del luglio scorso doveva rappresentare la freddezza del presidente americano Joe Biden nei confronti del principe ereditario di Riad, Mohammed bin Salman, ormai riconosciuto da tutti solo con l’acronimo di MbS. Almeno così è stato rappresentato dalle fotografie ufficiali. In più occasioni Biden si era espresso con durezza nei confronti del rampollo di casa reale contro il quale la Cia ha raccolto prove sufficienti a mandare un comune mortale per una decina di volte in galera o davanti al boia.
A sua volta, MbS aveva sposato la novellistica trumpiana dello «Sleepy Joe» irridendo il presidente e parlando apertamente della sua predilezione per il chiassoso predecessore chiassoso repubblicano. La freddezza uffciale della Casa Bianca si era tradotta anche in una opposizione passiva saudita, con lo sfilacciato posizionamento contrario agli Usa sulle forniture di petrolio all’Occidente per coprire le mancanze indotte dai russi o inducendo un aumento del prezzo del greggio. Tentativi per altro miseramente naufragati.
Ma ora, finite le elezioni di midterm e incassa una sostanziale “non sconfitta” salvando la maggioranza al Senato, Biden sembra voler dimenticare, perdonare e riabbracciare l’antico alleato del Golfo che può essere dichiarato “intoccabile”.
Il perdono è arrivato nascosto tra le righe di un comunicato del Dipartimento di Stato. Alla faccia del risentimento, dello sconcerto e della condanna Mbs l’ha fatta franca per la seconda volta. Dopo il buffetto sulla guancia delle accuse internazionali, mai portate a compimento, ora per gli Stati Uniti è «untouchable», intoccabile. L’Amministrazione Biden ha stabilito che il principe ereditario saudita Mohamed bin Salman gode dell’immunità nella causa mossa da Hatice Cengiz, ex fidanzata di Jamal Khashoggi, il dissidente saudita che fu ucciso e smembrato da agenti di Riad nel consolato del regno a Istanbul nell’ottobre 2018.
La Cia ritiene che il mandante dell’omicidio fosse stato proprio MbS, da anni leader di fatto della petromonarchia. Il principe, di recente nominato primo ministro, aveva inizialmente negato ogni coinvolgimento per poi ammettere che l’omicidio era avvenuto «sotto la sua responsabilità».
«Jamal oggi è morto di nuovo», ha scritto Cengiz su Twitter, «pensavamo che forse ci sarebbe stata una luce di giustizia dagli Usa ma, ancora una volta, il denaro è venuto prima. Questo e un mondo che io e Jamal non conosciamo».
I legali del dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti hanno spiegato che l’Amministrazione ha «stabilito che l’imputato bin Salman, in quanto capo in carica di un governo straniero, gode in quanto capo di Stato dell’immunità presso la giurisdizione dei tribunali statunitensi in conseguenza di questo ruolo».
Il principe ereditario era stato nominato primo ministro dal padre, il re Salman, lo scorso settembre, una nomina descritta da funzionari del regno come in linea con le responsabilità già esercitate da MbS. «Il decreto reale non lascia dubbi sul fatto che il Principe della Corona abbia il diritto all’immunità sulla base del suo status», avevano affermato gli avvocati di Bin Salman in una petizione dello scorso 3 ottobre nella quale avevano chiesto alla corte distrettuale di Washington di archiviare il caso.
In un documento depositato presso la corte distrettuale degli Stati Uniti per il distretto di Columbia, i legali del dipartimento di Giustizia avevano scritto che «la dottrina sull’immunità dei capi di Stato è ben consolidata nel diritto consuetudinario internazionale».
«Questa è una considerazione legale fatta dal Dipartimento di Stato sulla base di principi di diritto consuetudinario internazionale di lunga data e ben consolidati», ha sottolineato in una nota un portavoce del Consiglio di Sicurezza nazionale della Casa Bianca.
Khashoggi aveva espresso forti critiche nei confronti di Bin Salman in alcuni editoriali pubblicati sul “Washington Post”. Il dissidente si era recato al consolato saudita di Istanbul, dove gli era stata tesa una trappola, per ottenere i documenti che gli servivano per sposare Cengiz, cittadina turca.