Madrid. In corteo contro la «fiera dell'utero in affitto»
In Spagna è vietata e punita con cinque anni di carcere. Il che, però, non ha impedito che, ieri e oggi, Madrid ospitasse la “fiera della maternità surrogata”. Un vero e proprio salone espositivo in cui 24 agenzie internazionali di altrettante cliniche spiegano al pubblico il modo più facile per realizzare la riproduzione assistita. In particolare, dove recarsi all’estero per trovare “mamme su commissione”, dato che sul territorio nazionale non è consentito. Mentre all’interno, gli operatori di Surrofair – così si chiama l’evento – elargivano consigli, citando come “esempi virtuosi” dell’utero in affitto Canada e Ucraina, fuori una folla di donne ha protestato ieri contro la pratica e la sua promozione. «È una nuova forma di schiavitù», si leggeva nei cartelli portati dalle centinaia di persone che hanno aderito alla manifestazione promossa dalla Rete nazionale contro l’utero in affitto. All’interno si trovano una cinquantina di attiviste e associazioni di varia natura e colore politico: dalle femministe di ultrasinistra, come Lidia Falcón, a gruppi d’ispirazione cristiana. Unite dall’opposizione a questo sistema di «sfruttamento della donna», hanno spiegato le organizzatrici.
Il boicottaggio
Al corteo alcune partecipanti hanno letto le testimonianze di ragazze costrette a offrirsi come “mamme in affitto” a causa della povertà. Il sit in è stato l’ultima di una serie di iniziative di boicottaggio nei confronti di Surrofair. «Pubblicizzare la commercializzazione dei bambini e l’affitto delle donne è illegale», hanno sottolineato dalla Rete. Per questo, la coalizione ha presentato un esposto in Procura, poi archiviato. Sull’onda della polemica, l’Hotel Meliá – che inizialmente doveva accoglierlo – ha rifiutato di ospitare l’evento. Surrofair ha, dunque, dovuto traslocare in un albergo del centro. Il dibattito politico sulla questione è caldo. Finora solo Ciudadanos si è pronunciato esplicitamente a favore della pratica purché sia con finalità cosiddetta solidale. Ovvero senza una remunerazione per le mamme “commissionate”.