Ucraina. La forza del negoziato e le parole del Papa. Cosa significa “bandiera bianca”
Papa Francesco mostra una bandiera ucraina arrivata da Bucha durante un'udienza di due anni fa
L’Ucraina attende papa Francesco. Le parole del Pontefice che richiamano al negoziato e che sono state accolte con irritazione nel Paese aggredito dalla Russia (ma anche nei palazzi del potere occidentali) non sanciscono la rottura fra Kiev e la Santa Sede anche se è stato convocato il nunzio apostolico, l’arcivescovo Visvaldas Kulbokas, informandolo che l’Ucraina è «rimasta delusa» dall’intervento del Papa. Eppure, proprio nelle ore in cui la tensione saliva, sono stati rilanciati gli inviti a Francesco a visitare la nazione «martoriata». Come a dire che il Vaticano resta un interlocutore di cui tenere conto, nonostante manchino spiragli per un dialogo che possa fermare la guerra. Il primo a chiedere che il Papa faccia tappa nel Paese è stato il ministro degli Esteri, Dmytro Kuleba. «Non alzeremo altre bandiere – ha affermato –. Siamo grati a papa Francesco per le sue costanti preghiere per la pace e continuiamo a sperare che dopo due anni di guerra devastante nel cuore dell’Europa abbia l’opportunità di compiere una visita apostolica in Ucraina per sostenere tutti gli ucraini». Da New York, dove era in visita, è intervenuto l’arcivescovo maggiore di Kiev, Sviatoslav Shevchuk, capo della Chiesa greco-cattolica: «L’Ucraina è ferita ma imbattuta. È esausta, ma resta in piedi. E a tutti quelli che guardano con scetticismo alla nostra capacità di stare in piedi diciamo: venite in Ucraina e vedrete». Ieri è stato l’ambasciatore dell’Ucraina presso la Santa Sede, Andriy Yurash, a tornare a ipotizzare un viaggio di papa Bergoglio. «È un tema rilevante – ha spiegato a un’emittente radiofonica –. Proprio l’altro giorno ne abbiamo parlato in incontri ufficiali e non ufficiali. Il Papa ha ricevuto vari inviti. E ha fatto riferimento più volte alla possibilità di una visita a Kiev, ma la collega necessariamente a una sosta a Mosca. Cosa che Mosca non vuole». Anche il Cremlino ha commentato l’intervista del Papa. «Putin ha ripetutamente parlato della disponibilità a risolvere i problemi attraverso i negoziati – ha detto il portavoce Dmitry Peskov –. Ma c’è un rifiuto inflessibile da parte di Kiev». La reazione della Casa Bianca è arrivata a distanza di un giorno: «Biden si unisce al Papa nelle preghiere per la pace in Ucraina che potrebbe essere raggiunta se la Russia decidesse di mettere fine a questa guerra ingiusta. Sfortunatamente continuiamo a non vedere alcun segno da Mosca». Dal presidente Zelensky una risposta indiretta: la «Chiesa è in prima linea accanto alle persone» mentre non serve «la mediazione virtuale a 2.500 chilometri» perché tocca alla Russia fermarsi.
Iniziamo con la bandiera bianca, professor Mascia. Cosa significa nel Diritto internazionale?
«Un segnale esplicito di richiesta di colloquio: per intenderci: “Veniamo in pace”. Il fondatore del Diritto internazionale moderno, Ugo Grozio (siamo nel 1600 olandese, ndr) ci dice che con la bandiera bianca si vuole avviare un negoziato, non arrendersi». E questo è il senso della parole del Papa, che peraltro non ha evocato questa immagine ma ha seguito il ragionamento dell’intervistatore della Radiotelevisione svizzera: non una sollecitazione alla resa dell’Ucraina, ma alla sospensione temporanea delle ostilità.
Marco Mascia è il presidente del Centro di Ateneo per i diritti umani “Antonio Papisca” dell’Università di Padova e coordinatore della rete delle Università per la pace. Professore, da Biden in giù, molti hanno osservato che bisogna partire dalla Russia, non dall’Ucraina, se si vuole iniziare un dialogo…
Sì, ma se si entra in questa logica, la guerra continuerà. Torno a Grozio: lui diceva che durante una guerra ci possono essere dei momenti di interruzione dei combattimenti. Le chiamava “isole di accordo nel mezzo di una belligeranza”. E questo, diceva, è possibile anche con i nemici. È questo il senso delle parole di papa Francesco: il nemico è sempre nemico, ma conserva lo status di interlocutore.
La critica è che si sposta l’attenzione dall’aggressore alla vittima dell’aggressione…
È fuori discussione che Putin stia violando tutte le norme del diritto internazionale. La Russia è uno Stato fuori legge.
E dunque?
Dunque papa Francesco si preoccupa e soffre per il popolo ucraino. Chi sta morendo sono gli ucraini. Il suo appello arriva in un momento in cui la guerra sta prendendo una piega non favorevole all’Ucraina: Kiev è in difficoltà sul terreno e anche la comunità internazionale sta abbandonando il Paese. Gli Stati Uniti non riescono più ad inviare armi e l'Unione Europea – nonostante la risoluzione del 29 febbraio del l’Europarlamento in cui sostanzialmente si dice che bisogna continuare a fornire le armi all'Ucraina per vincere la guerra – ammette che le armi non ci sono e ipotizza che ciascun Stato membro debba investire lo 0,25% del Pil per armare Kiev, una cifra che penalizzerebbe le spese sociali. Inoltre non dimentichiamo che le amministrazioni americane hanno sempre abbandonato i loro “amici”: dal Vietnam ai curdi in Iraq fino agli afghani.
Marco Mascia è il presidente del Centro di Ateneo per i diritti umani “Antonio Papisca” dell’Università di Padova e il coordinatore della rete delle Università per la pace - .
Quindi?
Quindi quello che viviamo è un momento particolarmente drammatico e papa Francesco percepisce che la situazione può portare ulteriori sofferenze al popolo ucraino in primis, ma anche ai popoli europei.
Papa Francesco parla anche all’Occidente?
Direi che ha voluto mandare un segnale non tanto all’Occidente quanto in particolare all’Unione Europea, la quale ha commesso l’errore di appiattirsi sulle posizioni dell'amministrazione Usa, senza invece ritagliarsi uno spazio per mediare, tenendo conto del fatto che la Russia non sta dall’altra parte dell'Atlantico ma in Europa.
Un’Europa peraltro nata proprio per garantire un ordine pacifico alle nazioni uscite dalla guerra…
Intendiamoci: ai sensi dell’articolo 51 delle Nazioni Unite, l'Unione Europea ha piena legittimità nel difendere l’Ucraina dall’aggressione russa. Ma se si insiste sulla necessità di inviare armi all'Ucraina fino alla vittoria, si ammette che siamo in guerra anche noi contro la Russia. E senza una visione sui rapporti tra l'Europa e la Russia del dopoguerra. Ma il problema che solleva papa Francesco è un altro, ed è decisivo.
Qual è?
Ha senso continuare una guerra tra un piccolo Stato e una superpotenza? Ha senso portare alla distruzione il popolo ucraino? Quali sono le conseguenze, sapendo che se non è tra un mese sarà fra un anno o due anni ma si dovrà comunque andare a un tavolo negoziale? La risposta del Papa è: tregua. Le tregue servono per addormentare un conflitto, per ridurre il dispendio di sangue, per fare in modo che i combattimenti si interrompano. Per dare respiro alle persone che stanno soffrendo, per consentire ai malati di essere curati e l’accesso di aiuti umanitari. La tregua è la premessa, e da lì potrebbe partire un processo nuovo, un negoziato.
Con la bandiera bianca della tregua, insomma, non si stabiliscono torti e ragioni, ma si chiede di fermare il massacro.
Guardi, il Papa lo ha scritto anche nella Fratelli tutti: “Bisogna assicurare il dominio incontrastato del diritto e l’infaticabile ricorso al negoziato, ai buoni uffici e all’arbitrato, come proposto dalla Carta delle Nazioni Unite, vera norma giuridica fondamentale”. E, per tornare alla bandiera bianca, il diritto umanitario ci dice che chi la agita ha diritto all’inviolabilità. È un messaggio di pace e di dialogo. Altro che resa.