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Israele. Nella Nazareth senza pellegrini, è già in cantiere "l'impresa della pace"

Lucia Capuzzi, inviata a Nazareth mercoledì 3 aprile 2024

Maoz Inon per le vie di Nazareth

«Non “cheese” ma “peace». Tutti insieme: “Peace, shalom, salam”». La comitiva si stringe per la foto di commiato, seguendo le indicazioni della “guida”, Maoz Inon. Per tutta la mattina ha accompagnato gli operatori di Zanim, nota organizzazione per il dialogo, per le vie strette del centro storico di Nazareth che la guerra ha svuotato di viaggiatori e pellegrini. Non un giro turistico qualunque. Bensì un percorso verso il futuro. Dove lo sguardo comune vede una fila di saracinesche abbassate e chiese semi-deserte, Maoz scorge semi di speranza. «La speranza non si trova, si fa. Insieme», afferma l’imprenditore-visionario, un pioniere dell’innovazione fin da quando ha creato, 19 anni fa, il Fauzi Azar Inn, il primo degli ormai oltre 50 bed and breakfast nel cuore della capitale araba di Israele, dove la quasi totalità degli 80mila abitanti sono di origine palestinese, un terzo è cristiano. Poi, proprio a partire da questa città-crocevia, sono arrivati gli Abraham hostels e il circuito tra Nazareth e Cafarnao sulle orme di Gesù. Progetti che, attraverso il turismo, cercano di far incontrale le persone, le comunità e le culture. La ferocia del 7 ottobre li ha travolti, come ogni cosa, a cominciare dalla vita del loro ideatore. I genitori, Bilha e Yacovi, del kibbutz Nir Am, sono fra le 1.200 vittime del massacro di Hamas. Da quel giorno, le priorità di Maoz sono cambiate: non più fare impresa sociale bensì fare la pace. Il metodo, però, è rimasto lo stesso. «Per aprire ognuna delle mie attività, ho seguito cinque principi. Primo, avere un sogno. Poi, agire in base a dei principi e creare alleanze. Infine, fare un piano strategico e metterlo in atto. Sono gli stessi pilastri su cui mi basando nel lavoro per costruire la pace. In modo pragmatico». Per questo si definisce un «sognatore con un piano». «Un piano assolutamente fattibile, con un orizzonte breve: massimo sei anni. Come faccio ad esserne convinto? Perché non sono solo», aggiunge indicando gli attivisti di Zazim che si preparano a rientrare a Tel Aviv. «Tante e tante realtà, grandi e piccole, e persone si stanno unendo in una grande alleanza». Certo, il movimento pacifista israeliano ha necessità del sostegno della comunità internazionale.


«Deve aiutarci ad acquisire legittimità. E inviarci strumenti di riconciliazione non di guerra. Con la metà dei venti miliardi che gli Usa inviano a Israele in armi, faremmo la pace in un anno. La violenza si costruisce, la nonviolenza pure». Una forza che Maoz dice di avere imparato proprio dai genitori. «Mia madre era un’artista. Amava dipingere i “mandala”, l’universo secondo la tradizione induista e buddista. Sull’unico che mi ha regalato c’è scritto: “Qualunque sogno può essere raggiunto se abbiamo il coraggio di inseguirlo”», dice mentre mostra il disegno stampato su un volantino giallo. Il padre, invece, era un agricoltore. «È duro coltivare i campi nel Sud di Israele, tra deserto e rocce. Eppure nei momenti difficili ripeteva: “L’anno prossimo seminerò ancora e andrà meglio”».
Anche Nizar continua ad aprire, ogni giorno, con la stessa ostinazione il suo negozio, uno dei più antichi e rinomati di Nazareth, adiacente alla basilica dell’Annunciazione. È l’unico rimasto attivo tra al-Bishara street e il mercato. All’interno, tutti i souvenir sono a metà prezzo. «Ma se prende qualcosa le faccio un ulteriore sconto. È la seconda cliente della giornata. In questo periodo, solo nei miei tre empori venivano tra le 10mila e le 15mila persone. Ora non c’è nessuno e due li ho dovuti chiudere. Almeno questo, però, l’ho tenuto in funzione: è parte della mia vita, ho iniziato con mio padre nel 1960». La città dove Gesù ha trascorso gran parte della propria vita è la terza meta più visitata dai pellegrini delle Terra Santa, dopo Gerusalemme e Betlemme, con una media di 4 milioni di presenze l’anno. Il picco si raggiunge nei mesi tra la Settimana Santa e la Pentecoste. Ormai le folle di persone e pullman davanti alla chiesa circolare, eretta nel luogo in cui, secondo la tradizione, l’arcangelo Gabriele si è manifestato a Maria, sono un ricordo sbiadito. Il piazzale dell’Annunciazione è vuoto come il vicino tempio di San Giuseppe. La cappella della Sinagoga – dove si sarebbe trovata l’antica sinagoga in cui, secondo il racconto di Luca, Gesù ha cominciato la propria predicazione – è addirittura chiusa. «Ma non si preoccupi, gliela apro e l’accompagno – dice, in perfetto italiano, padre Basilio Bawardi, parroco della chiesa greco-cattolica –. Tanto non c’è molto movimento».
Per oltre dieci anni, Raeed ha fatto da guida a due gruppi di turisti alla settimana, ciascuno di trenta o quaranta persone. La guerra ha spazzato via gli arrivi e il suo lavoro. Sopravvive con il 20 per cento del salario che il governo come aiuto agli autonomi in difficoltà. E con i risparmi. Eppure continua, gratuitamente, a fare da cicerone ai pochi passanti. Il collega Osama ha avuto una sola comitiva dal 7 ottobre. «Ma erano persone in ritiro spirituale. Dunque non mi sono fatto pagare», dice. Per il 2023, Israele aveva previsto un boom del turismo – da cui dipendono il 3 per cento del Pil e 200mila impieghi –: 5,5 milioni, un milione in più del record del 2019. Ne sono arrivati poco più della metà - 3 milioni – e quasi tutti prima di ottobre.
Lo scorso febbraio, l’ultimo mese per cui sono disponibili i dati, sono arrivati in 67.500, il 78 per cento in meno dello stesso periodo del 2023. «La guerra è un pessimo affare, in tutti i sensi – conclude Maoz Inon –. Perciò questa deve essere l’ultima. E lo sarà. Presto, se lo faremo insieme. Allora Nazareth si riempirà di nuova vita. E tutta la Terra Santa".