Dopo la strage. Manchester non si arrende. «Più forti e uniti che mai»
La veglia ad Albert Square ha raccolto migliaia di cittadini di Manchester (Ansa/Ap)
Dopo una notte terrificante, Manchester si è svegliata martedì mattina a testa alta e con il chiaro intento di spedire un solo messaggio ai terroristi: non si piegherà di fronte alla violenza. Code composte di cittadini pronti a donare sangue erano già lunghissime all’alba di martedì fuori dai diversi ospedali dove sono stati portati i feriti della strage di lunedì sera. E sui socialmedia ha presto cominciato a circolare lo slogan «We are Manchester We are Together», siamo Manchester, siamo uniti. «Quando serve, nessuno ci divide», è il commento di Aj Singh, uno dei tanti tassisti che durante la notte ha offerto servizi gratuiti a chi ne aveva bisogno. «Come molti altri ho attaccato un foglio sul finestrino che diceva “Taxi gratis”, e ho accompagnato una ventina di persone dove dovevano andare'», ha detto.
Altri, nella comunità, hanno offerto cibo e tè caldo durante la lunga notte, e diversi hotel hanno messo stanze a disposizione di chi aveva bisogno di un letto usando l’hashtag #RoomForManchester. Un servizio usato anche da Paula Robinson, una signora di 48 anni che si trovava alla stazione di Victoria, proprio a due passi dall’arena, al momento dell’esplosione. Nel caos, la donna ha deciso di portare una cinquantina di ragazzini che non riuscivano più a trovare i genitori al riparo in un hotel vicino e poi, una volta informata la polizia, ha messo un appello sui socialmedia. «I genitori correvano a destra e a sinistra per cercare di trovare i loro figli. I ragazzini erano terrorizzati. Era come vivere in un incubo ». Eroico anche il gesto del senzatetto Chris Parker. Ha 33 anni e abitualmente dorme fuori dell’arena. In genere chiede l’elemosina dopo la fine dei concerti. In questo caso è corso in aiuto delle vittime. Parker ha raccontato di quando una donna è morta nelle sue braccia e di aver aiutato una ragazza che nell’esplosione ha perso le gambe. «Prima, tutti erano felici, uscivano dall’arena con il sorriso sul volto, commentando un ottimo concerto. Poi ho sentito un enorme botto, ho visto un flash e da quel momento è uscito tanto fumo e ho sentito urla che non smettevano più. L’esplosione mi ha gettato al suolo, ma quando mi sono rialzato il mio istinto invece di dirmi di scappare mi ha detto di rientrare nell’arena e andare ad aiutare chi ci era rimasto. C’erano persone per terra e sangue ovunque». Anche una ragazza italiana che studia a Manchester ha descritto il suo stato d’animo. «Sono spaventata, come tutti – ha detto Margherita Concina –, ma andiamo avanti. Parteciperò alla veglia promossa dal sindaco – ieri sera c’erano migliaia di persone –. Sono preoccupata soprattutto per un’amica musulmana cha adesso ha paura di uscire di casa. Lei è impegnata anche sul fronte dei diritti umani e il fatto che non si senta sicura mi fa stare male».
Accanto alla comunità di Manchester e alle forze dell’ordine hanno giocato un ruolo fondamentale anche i socialmedia usati soprattutto dalle famiglie in cerca di notizie dei loro cari, ma anche dai cittadini per esprimere solidareità, offrire aiuto e ribadire che Manchester è orgogliosa della sua diversità e non si lascerà mai intimidire dai terroristi. «Dicono che sono i musulmani quelli da biasimare», scrive su Twitter Joshua Woods, un ragazzo che si trovava al concerto e che è stato portato a casa da un tassista musulmano, «quando in realtà un signore musulmano mi ha dato un passaggio, mi ha offerto dell’acqua e ha ricaricato il mio telefonino. Un mio amico, che era al concerto con me, è stato operato da un medico musulmano che ha lavorato tutta la notte». Anche Emily Dugan, che ieri ha postato la foto, già diventata famosa, di un rabbino che va incontro a un poliziotto con del tè caldo, è d’accordo. 'We are Manchester', scrive, 'We are together'.