La diseguaglianza è questione di vita o di morte. Perché essa uccide o danneggia la salute delle persone. Parola della Commissione per le determinanti sociali dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms). Nel recente rapporto, realizzato dopo tre anni di ricerche, gli esperti hanno messo in luce come il benessere fisico dipenda solo in parte da fattori biologici. Secondo la Commissione, la speranza di vita e la probabilità di contrarre alcuni tipi di malattia sono legate a doppio filo alla «condizione socioeconomica dell’individuo». Il termine comprende numerose variabili: dalla professione svolta al reddito annuo, dal grado di istruzione al luogo di nascita (importantissimo). E tutti gli elementi sono concatenati. Qualche esempio chiarisce il problema. Circa l’80 per cento delle persone morte a causa di malattie cardiovascolari nel 2007 viveva in Paesi con un Pil medio-basso. Qui si concentra anche l’80 per cento dei diabetici. Non è un caso. La stessa percentuale di decessi dovuta a disturbi cardiaci o cerebrali potrebbe essere evitata – affermano i medici – conducendo uno «stile di vita sano». Quest’ultimo, tuttavia, spesso non è una libera scelta dell’individuo, ma un «prodotto sociale». «Non sempre si può decidere che cosa mangiare o che cosa bere – si legge nel rapporto –. A volte si è costretti a consumare quel che si ha a disposizione».
Il duplice volto della disuguaglianza Il lavoro della Commissione ruota intorno alle due dimensioni della disuguaglianza: quella orizzontale – fra diversi Paesi – e quella verticale – all’interno di una stessa nazione. La speranza di vita di un bambino differisce enormemente a seconda della parte di mondo in cui nasce. Se un piccolo svedese o giapponese ha buone probabilità di oltrepassare gli ottant’anni, un brasiliano, in media, non supera i 72, un indiano i 63. In Mozambico o in Angola, raggiungere i 50 anni è un raro traguardo. Il divario tra Nord e Sud del mondo si è accresciuto negli ultimi anni. Nel 1980, il Pil dei Paesi ricchi – in cui si concentra il 10 per cento della popolazione – era sessanta volte quello degli Stati più poveri. Ora il divario si è più che raddoppiato. Sull’atlante mondiale, malattia e povertà di sovrappongono in una spirale banalmente perversa. Nell’Africa subsahariana – dove il 41% delle persone vive con meno di un dollaro al giorno – il benessere fisico è un’utopia. Qui, il 35% della mortalità infantile (sotto i 5 anni) è dovuto alla mancanza di cibo. Mentre la denutrizione è la regola per buona parte del Continente Nero, in molte nazioni dell’Asia e dell’America Latina il principale problema è lo squilibrio della dieta. In Brasile, in Cina e in Messico ad esempio, tra le fasce meno abbienti dilaga la moda dei pranzi 'veloci' fuori casa. I fast food consentono anche ai meno abbienti – cui la crescita generalizzata ha regalato qualche dollaro da spendere – di mangiare abbondantemente a poco prezzo. Negli ultimi anni, la vendita di pasti pronti è raddoppiata, a Città del Messico s’è addirittura triplicata. Di pari passo è aumentata la percentuale di persone in sovrappeso e di infarti.
Europa a due velocità Per quanto riguarda il rapporto tra diseguaglianze e salute, l’Europa è un Continente a 'due velocità'. «Tra i Paesi più ricchi e tutti gli altri esiste una differenza di circa 5-6 anni di speran- za di vita alla nascita; addirittura di circa 15 anni tra le situazione migliori (Islanda, Svezia, Svizzera ed Italia) e le più problematiche (Federazione Russa, Turkmenistan o Kazakhstan) – spiega Erio Ziglio, direttore dell’ufficio per gli Investimenti in Salute e Sviluppo dell’Oms Europa –. Negli anni ’90, il crollo delle infrastrutture sociali, economiche e sanitarie nell’est Europa provocò un forte aumento dei tassi di mortalità ed un brusco calo dell’aspettativa di vita di 3-6 anni secondo la nazione, anche se i trend stanno migliorando».
Salute, un bene d’éliteAlle differenze fra Paesi si sommano quelle all’interno dei singoli Stati. Macroscopiche nel Sud del mondo, significative anche nell’altro emisfero. La Commissione ha calcolato che, in Uganda, i figli delle famiglie più povere hanno probabilità doppia di non raggiungere i 5 anni rispetto ai piccoli dell’élite socioeconomica del Paese. In Perù, la mortalità infantile tra i meno abbienti è cinque volte superiore a quella tra i ricchi, in India il rapporto è di tre a uno. Pure negli Stati europei, però, le differenze tra benestanti e poveri si fanno sentire con forza. A Glasgow, in Scozia, un bambino nato a Calton, una zona popolare, ha in media un’aspettativa di vita inferiore di 28 anni rispetto a un coetaneo dell’elegante quartiere di Lenzie. A Madrid e Barcellona, il divario tra aree residenziali e periferie degradate è di 5 anni. Secondo la rivista specializzata Journal of Epidemology and Community, se in Spagna il livello di mortalità fosse quello delle regioni più ricche, l’anno scorso ci sarebbero stati oltre 35mila decessi in meno. Anche nelle città italiane – almeno in quelle che monitorano sistematicamente la situazione –, la salute varia in relazione alla geografia urbana. A Torino – spiega il professor Giuseppe Costa della locale Università – l’incidenza di infarto nella popolazione cresce nei quartieri popolari di Dora e Mirafiori Sud. Nel capoluogo piemontese, inoltre, qualunque sia l’indicatore di salute considerato – mortalità, diabete, presenza di disturbi cardiovascolari – il rischio aumenta con l’abbassarsi del titolo di studio. I soggetti più emarginati hanno un’attesa di vita di quattro anni inferiore rispetto a quelli meglio collocati socialmente. Proporzioni simili si registrano anche a Firenze, Livorno e Reggio Emilia.
Salute, premessa per lo sviluppo Se la salute è per molti aspetti un 'fatto sociale' – scrive l’Oms –, può essere migliorata con l’azione dei governi, volta a garantire una più equa distribuzione delle risorse e a rendere più accettabili le condizioni di vita. Non è solo questione di giustizia. Una società sana è un vantaggio economico. «La riduzione del 10% della mortalità per malattie cardiovascolari in età lavorativa contribuisce all’aumento dell’1% del tasso di crescita del reddito pro capite», sottolinea Ziglio. Gran parte del benessere raggiunto dall’Occidente è legato alla riduzione di molte malattie. «Il 30% dello sviluppo della Gran Bretagna tra la fine del Settecento e quella del Novecento – conclude Ziglio – può essere attribuito al miglioramento delle condizioni di salute». Quest’ultimo, dunque, è doppiamente questione di vita e di morte. Perché la diseguaglianza sociale non uccide solo i singoli, ma anche le possibilità di sviluppo complessivo. San Paolo del Brasile: quartieri poveri e ricchi gomito a gomito