Un inatteso colpo di scena ha segnato la vicenda dell'attentato del 2012 alla ora Premio Nobel per la Pace Malala Yousufzai: otto dei dieci
talebani pachistani processati a porte chiuse alla fine di
aprile da un tribunale militare, e che tutti credevano in
carcere con una condanna a 25 anni, sono invece stati liberati
segretamente nelle scorse settimane, perchè assolti dai
giudici.
L'incredibile verità è stata denunciata dalla stampa
britannica e candidamente confermata sia a Londra da un
portavoce dell'ambasciata pachistana sia ad Islamabad da fonti
della polizia, che tuttavia hanno rifiutato l'esistenza di
"qualsiasi trattativa segreta", imputando tutto ad una "cattiva
interpretazione da parte della stampa della sentenza
originaria".
Ma è impossibile credere ad un enorme malinteso generale
sull'annuncio che fu dato ai media il 30 aprile e che evocò la
condanna a 25 anni (che in Pakistan equivale ad ergastolo) per
"ognuno dei dieci militanti coinvolti" nel tentativo di omicidio
di Malala, che all'epoca aveva meno di 14 anni.
Se ci fosse stata una cattiva interpretazione della sentenza,
peraltro, la magistratura avrebbe precisato la realtà dei
fatti. Così non è stato. Autorevoli fonti della sicurezza
hanno detto al britannico Daily Mirror che "si trattò di una
tattica per allontanare la pressione dal caso di Malala, perchè
il mondo intero voleva le condanne per il crimine perpetrato".
Quel processo, hanno poi assicurato, "non ha avuto alcuna
credibilità perchè nessun testimone indipendente è stato
ammesso. C'erano solo pm, giudici, l'esercito e gli imputati".
Su questo punto ha però replicato Azad Khan, responsabile
della polizia pachistana della zona di Maland, dove viveva
Malala. "È stata una decisione del tribunale antiterrorismo di
condannare solo due dei dieci accusati a 25 anni di carcere - ha
detto l'ufficiale - e rilasciare gli altri otto".
"La vicenda non è stata nascosta - ha aggiunto - e tutti i
particolari sono nei registri della giustizia". Quando la
decisione del tribunale ha raggiunto qualche tempo dopo il
carcere, ha concluso, "gli accusati sono stati rilasciati".
A relativizzare, sia pure solo lievemente, la gravità
dell'accaduto vi è che dal dibattito in tribunale prima della
condanna emerse che gli imputati arrestati dall'esercito
nell'autunno scorso appartenevano alla logistica che aveva
progettato e messo in esecuzione l'attentato.
Erano invece ancora alla macchia non solo il comandante del
Tehrek-e-Taliban Pakistan (PTT) Maulana Fazlullah, che diede
l'ordine di eliminare la giovane, ma anche i killer che salirono
sul minibus e spararono dopo aver chiesto: "Chi è Malala?", e
che forse il giorno stesso fuggirono nel vicino Afghanistan.
La giovane, appena adolescente, si batteva per rendere
possibile l'istruzione delle donne in Pakistan e per questo era
diventata un obiettivo primario dei talebani pachistani.
E la condizione della donna ed il suo ruolo nella società
islamica dell'Afghanistan sono stati al centro di un incontro
terminato ieri ad Oslo, in Norvegia, a cui hanno partecipato
esponenti femminili di istituzioni, governo e società civile
afghane, che perla prima volta si sono confrontati con delegati
talebani in vista di futuri negoziati di pace.