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INTERVISTA. Puci (Acli): «Maggiori opportunità, ma gli stipendi sono bassi»

Paolo Lambruschi venerdì 28 giugno 2013
​L’altra faccia degli “italoberliner” è fatta di aspettative deluse, di precariato malpagato nei call center, in pizzerie o nelle gallerie d’arte. Ecco perché, come sostiene l’ultima ricerca dell’Ocse, il 60 per cento dei cervelli italiani torna in Italia dopo un anno in Germania. Berlino è anche lo specchio di illusioni e disillusioni di migliaia di connazionali under 30 perché, a dirlo è stato il sindaco Klaus Vowereit, è «attraente e povera», con un tasso di disoccupazione reale che arriva a sfiorare il 20 per cento e molti berlinesi anche d’importazione che tirano a campare con lavori precari, i “minijob” della riforma Schröder, e spesso si ritrovano sfruttati e a rischio povertà. Allora uno degli indirizzi più gettonati tra gli italiani diventa il 13 di Reinhard Strasse, la sede delle Acli berlinesi. giusto alle spalle del Bundestag, il Parlamento, e per contrappasso di fronte alla sede dell’Fdp, i liberali, partito della nuova élite. Jacqueline Puci ha 33 anni ed è nativa di Bochum, nell’Ovest, figlia di operai siciliani. Laureata – fatto non così frequente tra la seconda generazione di italiani, anche quì chiamati G2, visto che ben l’8,5 per cento frequenta la scuola “differenziale” – da cinque anni gestisce l’ufficio delle Acli a Berlino, dove incontra ogni settimana diversi giovani arrivati da tutta Italia, età media inferiore a 35 anni, soprattutto neo diplomati e neo laureati in discipline artistiche e letterarie, per consulenze sul welfare tedesco. «Ai giovani – spiega – Berlino offre senza dubbio più opportunità delle grandi città italiane, infatti, un laureato in discipline artistiche trova più facilmente lavoro nelle gallerie d’arte. Non tutti, però, hanno le competenze professionali richieste per trovare lavoro e neppure la conoscenza della lingua, in più spesso parlano male anche l’inglese e arrivano raramente con un progetto o un contratto. Così è difficile inserirsi stabilmente. Inoltre la capitale non offre grandi prospettive, a parte la gastronomia. Guardando i contratti è frequente vedere che gli italiani sono sottopagati. All’inizio la gente è felice per aver trovato un posto, dopo qualche mese si dispera perché qui ce la fai a pagare bollette e affitti anche bassi solo se trovi due “minijob”. L’alternativa è ottenere un sussidio dall’agenzia del lavoro, il “job center”. Ma solo chi ha un contratto può accedervi, agli altri consigliamo di tornare indietro». A quali sussidi ha diritto un comunitario?A chi lavora da almeno un anno con un “minijob” viene data una somma integrativa di 360 euro al mese, in più se viene licenziato il Land paga l’affitto e il 60 per cento della busta paga. Il maggior problema per gli italiani è trovare un’assicurazione sanitaria, che in Germania è obbligatoria e costa almeno 150 euro al mese, un terzo del salario del lavoro precario part time. Molti non si iscrivono all’Aire, il registro per gli italiani all’estero, proprio per conservare l’assistenza sanitaria italiana. Ma per avere il sussidio devi dimostrare al “job center” che hai l’assicurazione sanitaria. Quali sono i lavori più frequenti?I “mini job” si applicano a tutti i settori, dai call center alle gallerie d’arte. Quattro ore al giorno di lavoro con uno stipendio di 450 euro al mese senza contributi né assicurazione sanitaria.Restano in molti?Nonostante le difficoltà solo la metà parte, gli altri preferiscono una vita precaria a Berlino piuttosto che in Italia.