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Venezuela. Maduro: se perdo, lascio. L'opposizione: elezioni farsa, non votate

Lucia Capuzzi sabato 5 dicembre 2020

Maduro e Guaidó

«Se l’opposizione dovesse vincere, lascerei subito la presidenza e tornerei a guidare l’autobus». Lo ripete da giorni Nicolás Maduro per far capire che le attuali legislative sono la partita decisiva del chavismo. Peccato che il governo si sia premunito di disegnare le regole del gioco in modo da non avere sorprese. Maduro ha nominato cinque fedelissimi alla guida del Consiglio elettorale, incaricato di organizzare e monitorare il procedimento. E l’organismo ha introdotto una serie di innovazioni considerate lesive della Costituzione – realizzata da Hugo Chávez –, da gran parte dei giuristi.

Il Consiglio ha aumentato i deputati da 167 a 277. Una quarantina di loro, inoltre, sarà designata a partire da una lista nazionale, svincolata dai normali collegi. In questa situazione, l’opposizione, guidata da Juan Guaidó, ha scelto di non riconoscere la legittimità della consultazione e di non parteciparvi. «È una farsa», ha detto Guaidó che ha proposto, in alternativa al voto, la realizzazione di una consultazione popolare la prossima settimana. La Conferenza episcopale venezuelana ha avvertito che le elezioni rischiano di peggiorare la crisi politica.

Date le premesse, in ogni caso, domani il partito di Maduro – il Partido socialista unido de Venezuela (Psuv) – potrà riconquistare con poco sforzo l’Assemblea, da cinque anni sotto il controllo degli anti-chavisti. Eppure, nelle ultime settimane, il presidente ha rimosso le restrizioni imposte per il Covid in modo da poter intensificare la campagna. Il fine non è certo quello di battere quell’esiguo fronte dissidente – la cosiddetta Mesa de dialogo nacional – che ha presentato i suoi candidati alla competizione, pur senza alcuna chance di successo. Il nemico reale è rappresentato dall’astensione che, secondo rilevazione indipendenti, potrebbe aggirarsi intorno al 70 per cento.

Il numero due del governo, Diosdado Cabello, ha battuto i ranchos, le baraccopoli di Caracas, tradizionale base del chavismo, per convincere le persone ad andare alle urne. Con le buone o con le cattive. «Chi non vota non mangia. Lo si mette in quarantena e non mangia», ha tuonato Cabello in uno dei comizi clou. Fuori dai seggi, inoltre, è stata predisposta la rete dei puntos rojos, banchetti dove chi ha votato può registrarsi per ricevere sussidi.

Il chavismo sa di non avere possibilità di vedere l’elezione riconosciuta da Stati Uniti e Unione Europea che ha già rifiutato di inviare una missione di osservazione per mancanza di trasparenza. Ha, però, necessità di salvare le apparenze, almeno all’interno, dimostrandosi capace di mobilitare ancora una parte importante della popolazione.

Il momento è delicato. Dopo il terremoto di inizio 2019, da un anno e mezzo, il governo di Maduro s’è costruito un nuovo equilibrio per sopravvivere. Basato, paradossalmente, sul dollaro. Dall’estate 2019, sono stati progressivamente eliminati i controlli su prezzi e cambi che impedivano la circolazione nel Paese del biglietto verde. I divieti non sono stati eliminati. Le autorità hanno, però, smesso di farli rispettare, consentendo una “dollarizzazione anarchica” che ha dato una boccata d’ossigeno all’economia, dissestata dall’iperinflazione e dalle sanzioni di Donald Trump. Oltre il 66 per cento delle transazioni avviene ormai nella «valuta yankee» a cui ha accesso, tuttavia, meno del 40 per cento della popolazione. La diseguaglianza è, dunque, aumentata. Il nuovo corso ha, tuttavia, garantito al governo il sostegno – o almeno la non belligeranza – del settore privato che ha ripreso a produrre, seppur in punta di piedi. Con questa strategia, il chavismo ha superato la prima fase dell’emergenza Covid. Con la ripresa della “normalità”, però, nelle ultime settimane, l’inflazione ha ripreso a salire. Il bolívar, la moneta nazionale, non ha più valore. Maduro sa che la via d’uscita è formalizzare la dollarizzazione: fonti ben informate parlano di una negoziazione sottobanco con un gruppo di banche private. Per riuscire nell’impresa, però, deve dimostrare di essere ancora saldamente al comando. È questo il vero obiettivo del voto.