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Venezuela. Maduro non fa vedere i bollettini elettorali, il Brasile prova a dialogare

Angela Napoletano giovedì 1 agosto 2024

La bandiera brasiliana sull'ambasciata dell'Argentina a Caracas, in Venezuela

La bandiera del Brasile issata sull’ambasciata dell’Argentina a Caracas. È l’immagine che sintetizza il caos scoppiato in Venezuela all’indomani della proclamazione della vittoria del socialista Nicolas Maduro alle elezioni presidenziali. Le accuse di brogli e gli appelli al riconteggio dei voti hanno fatto salire la tensione a livelli altissimi con proteste di strada replicate anche in altre nazioni sudamericane.

L’intervento del presidente brasiliano Luiz Inácio Lula da Silva è valso, ieri, a evitare che la grave crisi diplomatica tra Caracas e Buenos Aires degenerasse ulteriormente. Domenica, lo ricordiamo, il presidente argentino Javier Milei ha attaccato Maduro accusandolo, senza mezzi termini, di aver “frodato” le elezioni. Questi ha reagito disponendo l’espulsione in 72 ore dei diplomatici argentini di stanza nel Paese. Sollecitato da Casa Rosada, il Brasile ha accettato di prendersi cura degli interessi dell’Argentina in Venezuela assumendone l’amministrazione di ambasciate e consolati. Tra le questioni più delicate da gestire c’è lo status di sei leader dell'opposizione venezuelana che hanno cercato asilo proprio nell’ambasciata argentina.

Nella mediazione di Lula, che dovrebbe avere presto un confronto al telefono con Maduro, è rimessa la speranza di una soluzione alla crisi. Brasilia non ha ancora riconosciuto la vittoria del leader chavista annunciata nella notte tra domenica e lunedì dal Consiglio nazionale elettorale, né ha fatto proprie le accuse di brogli lanciate dall’opposizione.

D’intesa con la Casa Bianca, Lula si è limitato a sottolineare la necessità di una pubblicazione immediata dei verbali elettorali integrali. Maduro si è prima detto pronto a condividere tutti i documenti poi ha chiarito che li passerà solo alla Corte Suprema di Giustizia, guidata dalla fedelissima Carysla Rodriguéz, a cui ha chiesto di certificare la sua elezione. A suo dire le accuse di frode mosse dall’opposizione sono un “attacco” al processo democratico. La leader degli anti-chavisti Maria Corina Machado e il candidato che lo ha sfidato alle urne, Edmundo Gonzalez Urrutia, insiste, “dovrebbero essere dietro le sbarre”.

Nelle proteste post-elettorali sono rimaste ucciso finora almeno 16 persone. Oltre un migliaio sono invece quelle arrestate. Tra questi c’è Freddy Superlano, coordinatore politico nazionale di Voluntad Popular, figura di spicco del dissenso a Maduro, di cui si erano perse le tracce due giorni fa. Il vicepresidente del Partito socialista unito di Venezuela (Psdu), Diosdato Cabello, ha confermato che l’uomo è detenuto e “sta parlando”. Inciso che secondo i movimenti di opposizione è indizio delle torture con cui le autorità lo costringerebbero a confessare un presunto piano sovversivo.

Il segretario generale dell’Organizzazione degli Stati Americani (Osa), Luis Almagro, ha proposto al Consiglio Permanente, convocato in sessione straordinaria, una risoluzione per chiedere alla Corte penale internazionale di incriminare il presidente venezuelano per “premeditazione, tradimento, brutalità, ferocia” ma la votazione, avvenuta mercoledì a Washington, è andata male: il voto favorevole di 17 Stati (cinque assenti e undici astenuti) non è bastato a farla passare. È in questo contesto che è arrivato anche l’appello al “dialogo” e “alla partecipazione attiva di tutti gli attori politici” del Vaticano. Monsignor Juan Antonio Cruz Serrano, Osservatore Permanente della Santa Sede presso l’Osa, ha ribadito che “la Santa Sede si unisce a quanto è stato espresso dalla Conferenza Episcopale Venezuelana” sulla vocazione democratica del popolo venezuelano sottolineando che “la manifestazione delle diverse posizioni e rivendicazioni deve avvenire con gli atteggiamenti pacifici, di rispetto e tolleranza che hanno prevalso fino ad ora”.