Il politologo. «In Venezuela elezioni dittatoriali». Maduro nel mirino degli Usa
Il leader venezuelano Nicolás Maduro con la moglie, Cilia Flores (Ansa)
Il Venezuela non è incluso. Eppure è quest’ultimo il filo rosso del viaggio latinoamericano del segretario di Stato Usa, Rex Tillerson. Da giovedì al 6 febbraio, il capo della diplomazia americana si recherà in quattro Paesi a sud del Rio Bravo: Messico, Argentina, Perù e Colombia. Con un obiettivo: far sì che si presti più attenzione regionale alla crisi venezuelana. Washington ha commentato con durezza la decisione del governo di Nicolás Maduro, venerdì, di impedire alla Mesa de unidad democrática (Mud) di partecipare unita alle presidenziali, previste entro il 30 aprile. Sulla stessa linea l’Unione Europea. Maduro, da parte sua, ha appena presentato lo slogan della campagna in vista del voto: “Juntos podemos más” (Insieme possiamo di più). Il presidente, in realtà, non ha ancora formalizzato la propria candidatura ma si tratta di un fatto scontato. Il numero due del chavismo, Diosdado Cabello, ha detto che non c’è nessun altro in lizza. La decisione dei giudici rischia di far saltare definitivamente i negoziati in corso nella Repubblica Dominicana tra governo e Mud. Domani e martedì è previsto un nuovo round di colloqui: l’opposizione, però, non ha ancora detto se si presenterà. In ogni caso, sembra improbabile che la trattativa vada avanti a meno che Maduro non faccia un passo indietro.
«Non chiamiamole elezioni presidenziali. Quelle che il governo del presidente Nicolás Maduro ha convocato entro il 30 aprile, saranno elezioni dittatoriali». Non usa mezzi termini padre Luis Ugalde, gesuita, storico e politologo, già rettore dell’Università Andrés Bello e appena nominato esponente della prestigiosa Accademia nazionale di storia. «La decisione della Corte Suprema di escludere dalla competizione una parte dell’opposizione e, di conseguenza, di impedire a quest’ultima di presentarsi unita nella Mesa de unidad democrática (Mud), è un passo troppo grave, al di fuori della legge e della Costituzione», sottolinea l’esperto. Si tratta, però – secondo padre Ugalde – di «un passo falso» di quello che ormai si configura come «un regime».
Eppure tanti l’hanno definita una mossa ben calcolata per spaccare definitivamente l’opposizione, approfittando dell’attuale momento di debolezza. Perché sarebbe un boomerang?
Negli ultimi mesi, il governo, in effetti, è stato abile nello sfruttare le rivalità interne all’opposizione per restare a galla. Ora, però, ha osato troppo. Ha anticipato il voto e ha impedito alla Mud di presentarsi come sigla unitaria: è evidente che il suo unico obiettivo è mantenersi altri sei anni al potere. Di fronte a uno smacco di tale portata, allo schieramento anti-chavista non resta che ricompattarsi. Maduro è riuscito a riunire contro di lui tutti gli eterogenei partiti che lo compongono. Ora l’opposizione deve trovare il leader giusto, capace di mobilitare la disperazione dilagante.
Che cosa intende?
È necessaria una “ribellione elettorale” di fronte alle regole dittatoriali imposte dal governo per le presidenziali. Non parlo di una semplice astensione. Bensì di una strategia articolata. Il primo passo è la pressione sull’esecutivo per convincerlo a rivedere tali misure. Se, come è probabile, non lo farà, l’opposizione dovrebbe svolgere un lavoro sottile di mobilitazione delle coscienze sulla illegittimità della competizione. Il messaggio deve essere chiaro: «Non ci presentiamo perché non ci sono le garanzie democratiche non perché abbiamo paura di perdere».
Pensa a nuove manifestazioni?
Non necessariamente. I cortei espongono la folla a possibile repressione. Ci vuole un lavoro capillare per convincere la gente dell’illegittimità del voto. Non è difficile. La prostrazione ha raggiunto un livello intollerabile. E non abbiamo ancora toccato il fondo. La situazione peggiorerà ulteriormente nei prossimi mesi. Altri sei anni di questo inferno sarebbero insostenibili.
Con Capriles e López fuori gioco, l’opposizione sembra a “corto di leader”. È così?
In realtà, sono emerse nuove figure interessanti. Come l’imprenditore Lorenzo Mendoza o l’ex governatore Andrés Velásquez. Entrambi godono di consensi anche “a sinistra” per il loro impegno sociale. Per questo Maduro li teme. Del resto, nonostante le apparenze, il suo governo è fragile.
Lo crede davvero? Già la scorsa estate sembrava sul punto di cadere, poi ha superato la bufera. Come spiega questa sua capacità di resistenza?
I consiglieri cubani hanno addestrato i servizi segreti a intercettare qualsiasi moto, reale o presunto, di malcontento all’interno dei militari e di neutralizzarlo. Alla lunga, però, questo non basta. Il governo è sempre più indebitato. Deve restituire, entro l’anno, 8 miliardi che non ha. L’ultima volta l’ha salvato la Russia, desiderosa di “provocare” gli Usa vicino casa, come questi ultimi fanno in Ucraina. L’epoca della Guerra fredda, però, è finita. Mosca ragiona con il portafogli. E Maduro è un pessimo investimento.