«L’Assemblea nazionale ha perso validità politica. È solo una questione di tempo prima che scompaia», profetizza sardonico Nicolas Maduro. E la contrapposizione non potrebbe essere più netta. Da una parte, lui, il presidente “picconatore”, che ha a colpi di decreti sta disarticolando il tessuto costituzionale del Venezuela. Dall’altra il Parlamento, controllato dall’opposizione, che lo sfida apertamente a suon di firme (il referendum per destituirlo) e a suon di alzate di mano (il voto che bocciato il decreto che dichiara lo stato di emergenza). E la piazza, che ha scelto ieri di mobili-tarsi, nuovamente, contro il «disegno eversivo» dell’erede di Hugo Chavez. In mezzo, l’esercito e le forze dell’ordine. Ieri le strade di Caracas hanno vissuto una sorta di nuova prova generale, in quella che è stata la terza manifestazione in una settimana. I soldati della Guardia nazionale e la polizia schierati. Il corteo di protesta. Le cariche. L’uso dei gas lacrimogeni per scoraggiare centinaia di persone. I primi feriti. Gli arresti. Il centro della capitale “mi-litarizzato”. Nonostante lo sbarramento, i leader dell’opposizione sono riusciti a consegnare un documento con le loro richieste per il referendum anti-Maduro al Consiglio nazionale elettorale Domenica l’opposizione ha invitato le forze armate a scegliere «se stare dalla parte della Costituzione o di Maduro». Dalla scelta di campo dell’esercito può dipendere l’esito del braccio di ferro tra Maduro e l’opposizione. E dell’intera crisi – l’inflazione record al 180 per cento, la penuria di generi di prima necessità, il razionamento dell’energia, la rabbia montante tra i venezuelani – nella quale è precipitato il Paese. Per ora il conflitto è rimasto “confinato” nello scontro politico-istituzionale. Maduro ha giocato d’azzardo, estendendo la cosiddetta «emergenza economica », in vigore da gennaio: uno «stato di eccezione» per «sconfiggere» fantomatici «colpi di stato», «in modo di stabilizzare – ha detto il pre- sidente – il Paese e affrontare le minacce contro la nostra patria». L’opposizione ha risposto bocciando, in Parlamento, il decreto. Una “vittoria” solo temporanea, però. L’ultima parola sulla legittimità del provvedimento spetta alla Corte suprema, formata da una maggioranza di giudici nominati dal predecessore di Maduro, Hugo Chavez, e dunque considerati “vicini” al governo. La grande paura è che ora il conflitto debordi dalle sedi istituzionali. È quanto teme la Ong Transparency International. «La situazione estrema in Venezuela, dove la gente comune sta soffrendo in conseguenza delle cattive decisioni del governo, non dovrebbe essere usata come pretesto per attaccare e opprimere la società civile», ha dichiarato il presidente, l’avvocato peruviano José Ugaz. «Lo spazio per la società civile dovrebbe essere protetto», ha aggiunto Ugaz.
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