Sarà difficile ignorare la voce del «no», dopo l’affollata manifestazione di domenica a Madrid. L’opposizione alla riforma dell’aborto sta conquistando poco a poco nuovi spazi pubblici, rimuovendo le acque di un dibattito che non è affatto chiuso. Lo ha dimostrato, domenica, il corteo in difesa della vita: secondo gli organizzatori, nella capitale spagnola sono scesi in piazza mezzo milione di persone. Né la delegazione del governo né la polizia hanno contrastato la cifra con altri dati. Per qualcuno erano solo poche migliaia. Ma al di là dei numeri, per il governo di José Luis Rodriguez Zapatero – che si appresta a varare una spinosissima riforma dell’aborto – sarà molto complicato bypassare un’ampia fetta della società spagnola che dice no all’aborto e si oppone energicamente alla sua liberalizzazione. «Io sono stato un embrione»; «Non esiste il diritto ad uccidere, esiste il diritto di vivere»; «Se tua madre avesse abortito, tu non staresti qui ora». Diretti, duri e crudi: i manifesti e gli striscioni che hanno accompagnato la manifestazione andavano al dunque, senza titubanze. Ma non è stato un corteo polemico. Piuttosto – come annunciato alla vigilia – è stata una festa familiare: musica, magliette e cappellini rossi, papà e soprattutto mamme con bambini. E poi c’erano le ragazze: tante «chicas» di 16 o 17 anni, che a loro modo – cantando, ballando – hanno detto «no» ad una riforma che le riguarderebbe. Secondo la proposta dei socialisti spagnoli, le sedicenni dovrebbero essere libere di interrompere una gravidanza senza la necessità del consenso paterno. Dal 1985 in Spagna si può abortire in tre casi: stupro, malformazione del feto e rischio fisico e psicologico per la madre: il 97% degli aborti si attengono al terzo criterio. Il governo di Zapatero sta elaborando un progetto di legge che renderà completamente «libero» l’aborto entro le prime 14 o 16 settimane. La ragione ufficiale dell’esecutivo: la riforma è necessaria per dare protezione legale alle donne e ai medici. Sulle pagine del quotidiano Abc, il professore di diritto processuale Julio Banacloche ha spiegato che si tratta di «una grande menzogna», perché di fatto in Spagna le donne che abortiscono non vanno mai in carcere. «La donna non è mai stata accusata penalmente», dice l’esperto. Il governo – in grave difficoltà a causa della crisi economica – sembra deciso ad andare avanti. Ieri il ministro dell’Uguaglianza Bibiana Aido si è riunita con i rappresentanti delle cliniche abortiste, secondo i quali l’interruzione di gravidanza dovrebbe essere completamente libera fino a 24 settimane. Intanto anche all’interno del partito di Zapatero cominciano a spuntare voci contrarie alla riforma. Al corteo di domenica ha partecipato anche Joaquín Montero, consigliere socialista del municipio sivigliano di Paradas: «Appoggio il sì alla vita perché sono militante di sinistra. Non si può essere socialista e stare contro la vita».