Francia. Il discorso di Macron: «Non mi dimetto»
Macron durante il suo discorso alla nazione
«Formerò un governo d’interesse generale che rappresenti tutte le forze politiche di un arco di governo che possa parteciparvi o, almeno, che s’impegni a non censurarlo». Parole di un capo dell’Eliseo in profondissimo affanno, oltre che di un leader un tempo ammirato e oggi all’osso in termini di consenso. Parole a reti unificate di Emmanuel Macron, costretto a riannodare il filo del dialogo con i francesi, scombussolati o sconcertati dopo il tracollo del governo di Michel Barnier, sfiduciato mercoledì da lepenisti e sinistra, pronti a provocare une temibilissima crisi di governo. «Il mandato che mi avete affidato democraticamente è di 5 anni e lo eserciterò fino all’ultimo» ha martellato il presidente, tagliando corto circa le speculazioni su eventuali dimissioni. Poi, sul nodo scottante della legge finanziaria rimasta pericolosamente in sospeso, ha promesso che «una legge speciale sarà presentata entro metà dicembre in Parlamento e questa legge temporanea permetterà, com’è del resto previsto dalla nostra Costituzione, la continuità dei servizi pubblici e della vita del Paese». Insomma, la Francia non resterà nelle sabbie mobili.
Il capo dell’Eliseo ha concesso solo d’aver fatto a giugno una scelta della dissoluzione «non compresa» dal mondo politico, ma attaccando poi i partiti responsabili della sfiducia che «hanno scelto il disordine» prima di Natale. Volgendo lo sguardo ai «30 mesi» che gli restano al potere, ha finito per citare le Olimpiadi estive e soprattutto la ricostruzione di Notre-Dame per assicurare che una Francia unita saprà ancora «fare grandi cose e l’impossibile». Ma occorrerà al Paese, come nel caso della rinascita della Cattedrale, «una rotta chiara».
Il discorso, di una decina di minuti, ha suscitato subito non poche reazioni scettiche fra gli osservatori, in attesa di conoscere il nuovo premier e governo d’apertura, promessi da Macron già «nei prossimi giorni». Sul fronte delle forze politiche, qualcosa si muove a sinistra, mosaico di 4 partiti (Verdi, socialisti, comunisti, ‘Francia insubordinata’) schierati mercoledì assieme per sfiduciare Barnier, ma apparentemente spaiati sulla strategia futura. Rispetto agli ‘insubordinati’ mélenchoniani ancora oltranzisti, i socialisti e Verdi si mostrano invece ora più aperti al compromesso, fra richieste d’incontri all’Eliseo, ipotesi di patti di non aggressione, evocazioni della «responsabilità necessaria». E ieri, anche l’ultranazionalista Marine Le Pen ha preferito abbassare i toni, dichiarando che i suoi sono «pronti a collaborare con il nuovo governo». Un modo, probabilmente, per non apparire agli occhi dei francesi come una cieca picconatrice delle fondamenta del Paese.
Intanto, la Francia è traversata da nuove proteste, con gli statali pronti ormai ad emulare gli squilli di rivolta degli agricoltori. Da parte loro, gli ambienti economici sono preoccupati, come ha chiarito Patrick Martin, a capo del Medef, equivalente della nostra Confindustria: «La Francia e le sue aziende hanno bisogno di ritrovare molto rapidamente della stabilità e della visibilità con un governo che dovrà ristabilire la fiducia e tracciare una traiettoria economica credibile». Nelle ultime ore, come molti temevano, le agenzie di rating S&P e Moody’s hanno invece ricordato i rischi connessi all’eventuale incapacità di Parigi di correggere le sbandate dei conti pubblici viste negli ultimi anni. Fra i danni collaterali della crisi, pure uno stop “tecnico” rispetto a ciò che appariva da settimane come una chiara volontà italiana e francese di rilancio del dialogo bilaterale sul futuro europeo. In proposito, Barnier prevedeva di recarsi a Roma proprio ieri, ma la sua caduta è giunta appena prima dell’attesa trasferta. Quasi una beffa, dunque.