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Francia. Macron un anno dopo: piace più all'estero che in patria

Daniele Zappalà domenica 6 maggio 2018

Il presidente francese Emmanuel Macron (Ansa)

Il 7 maggio 2017, presentandosi al mondo ai piedi della piramide di vetro del Louvre, sulle note europeiste dell’Inno alla gioia, un ex banchiere trentanovenne atipicamente “centrista”, Emmanuel Macron, conquistava l’Eliseo dopo una campagna elettorale travolgente, centrata sulla promessa di «far entrare la Francia nel XXI secolo».

Ma in queste ore, spegnendo simbolicamente la prima candelina della legislatura, il presidente ingoia già bocconi amari, almeno sul fronte interno, fra sondaggi in chiaroscuro e il rischio di quella «convergenza delle lotte» che i sindacati invocano per «salvare i servizi pubblici e bloccare la deriva liberale» attribuita all’Eliseo. In poche settimane, oltre ai ferrovieri, sono scesi in piazza studenti, insegnanti, infermieri e altri statali. Sabato, poi, mentre proseguiva la delicata trasferta di Macron nella lontana Nuova Caledonia per promuovervi la riconciliazione politica e sociale, la gauche radicale guidata dal “tribuno rosso” Jean-Luc Mélenchon ha deciso di «far la festa al presidente», con nuovi cortei «festosi» non solo a Parigi, al grido «un anno con Macron è già lungo». Circa duemila gli agenti schierati nella capitale, dopo la guerriglia a margine delle manifestazioni del primo maggio. Secondo un conteggio dell’agenzia Occurrence su incarico di un gruppo di grandi media nazionali, erano presenti 39mila persone, attirate anche dalle attrazioni, fra cui dei carri allegorici. Attimi di tensione anche per un tentativo di assalto contro una postazione mobile di Radio France. Un poliziotto è anche rimasto ferito e otto manifestanti sono stati fermati. Spulciando i conti di campagna dell’ex candidato, la commissione dei rimborsi elettorali ha invece scoperto, oltre a fatture iperboliche di parrucchieri e truccatori, pure l’acquisto d’ingenti scorte di caramelle gommose. La squadra “centrista” prevedeva già l’amaro in bocca a venire?

Un anno dopo, anche certi acerrimi avversari riconoscono che Macron ha ravvivato il prestigio del Paese sulla scena internazionale, dopo la presidenza atona del predecessore socialista François Hollande. Gli onori a ripetizione scambiati con il capo della Casa Bianca Donald Trump e i calorosi abbracci con il non meno controverso premier indiano Narendra Modi sono divenuti il simbolo di una nuova realpolitik alla francese, sotto gli stendardi ufficiali del «multilateralismo forte» e della diplomazia climatica. Fra frasi ad effetto all’Onu, frequenti telefonate con Mosca e Washington, le bombe sganciate contro il regime siriano e certi sgambetti ai vicini europei, Italia compresa, Macron insegue gli ideali di una Francia più europea e di un’Europa più francese capaci di divenire aghi della bilancia delle sorti mondiali. Ma intanto, sul fronte dei piani transalpini di rilancio continentale, dell’auspicato ministro delle Finanze Ue non si vede l’ombra, mentre è già sfumato il progetto di liste transnazionali alle elezioni europee. Sulla scena interna, il fulgore del presidente tende ad appannarsi. Secondo l’ultimo sondaggio Odoxa- Dentsu Consulting, il 59% dei francesi non desidera una nuova candidatura di Macron nel 2022. Per 7 intervistati su 10, è un «presidente dei ricchi», fra l’altro non umile (76%), artefice di riforme «ingiuste» (72%), lontano dalla gente (68%), anche se al contempo viene percepito maggioritariamente come un presidente rinnovatore (59%), con una chiara visione in testa (66%) e dinamico (78%). A proposito del dinamismo, secondo l’entourage, Macron rischia di peccare spesso per eccesso, fra ritmi asfissianti imposti a tutti, riunioni notturne, raffiche di sms senza limiti, continue trasferte.

La metafora preferita di Macron per spiegare le riforme tendenzialmente liberiste condotte a tamburo battente e approvate talora con decreti che scavalcano il dibattito parlamentare (lavoro, fisco, scuola, accesso all’università, settore ferroviario, diritto d’asilo, formazione professionale) è quella della società come «cordata » alpinistica: aiutare fiscalmente i «capicordata », ovvero imprenditori e investitori privati, favorisce l’ascensione di tutti verso la vetta, con più ricchezza condivisa e meno disoccupazione. Ma intanto, in modo impopolare, sono stati limati certi sussidi pubblici e tagliati i contratti sovvenzionati dei lavori socialmente utili. A tanti francesi, inoltre, piacciono poco l’intransigenza di stampo repressivo dell’esecutivo sull’emergenza migratoria, accanto ai trascorsi di Macron come banchiere per Rothschild, nonché un certo gusto presidenziale per il lusso, manifestato ad esempio festeggiando il compleanno dei 40 anni nel sontuoso Castello di Chambord, sulla Loira.

Sul versante della “laïcité”, sono giunti segnali incoraggianti di distensione, in particolare con il discorso di Macron del 9 aprile al Collegio dei Bernardini, su invito della Conferenza episcopale. Ma al contempo, tanti credenti francesi temono nuovi strappi bioetici, su questioni come il fine vita e le estensioni del ricorso alla fecondazione assistita, in occasione dell’imminente revisione della legge quadro. Sono ambiti nei quali il presidente potrebbe prestare ascolto alle rivendicazioni oltranziste emerse nel suo stesso partito, Lrem (La Repubblica in cammino).