Ucraina. Macron da Putin (che non si smuove). Scholz con Biden gioca l'asso del gas
Putin e Macron al Cremlino: distanze siderali, anche al tavolo "anti-Covid"
Domare l’escalation in Ucraina, prima di sperare d’invertirla. Ecco l’obiettivo minimo, ancora lontano, con cui è scattato simbolicamente ieri il forcing diplomatico in simultanea delle cancellerie europee, dopo l’atterraggio pomeridiano a Mosca del presidente francese Emmanuel Macron – in prima linea anche per via del semestre francese di Presidenza Ue, oltre che sullo sfondo interno delle vicine presidenziali –, ricevuto al Cremlino dall’omologo russo Vladimir Putin. Un incontro parallelo alle trasferte tedesche, in giornata, del neocancelliere Olaf Scholz a Washington e della ministra degli Esteri Annalena Baerbock a Kiev.
Discutendo con Putin a porte chiuse, alle estremità di un lungo tavolo anti-Covid e lontano fisicamente anche dagli interpreti, il capo dell’Eliseo ha invocato il bisogno di «costruire una risposta utile per la Russia, per tutta la nostra Europa, che consenta d’evitare la guerra, di costruire tasselli di fiducia, stabilità, visibilità ». Poi, ancora: «Ciò verso cui dobbiamo andare è la de-escalation. Ne conosciamo i termini. Grandi questioni di sicurezza collettiva, questione ucraina, situazione della sicurezza in Bielorussia e in tutta la regione: andiamo avanti». Da parte sua, il capo del Cremlino non si è sbilanciato, pur riconoscendo il «grande sforzo» diplomatico francese e assicurando di condividere con Macron analoghe «preoccupazioni» sulla sicurezza europea. Si è così allontanata l’ipotesi di annunci decisivi dopo l’incontro, con sottolineature ancor più forti di Mosca circa la «complessità » della crisi. Incontro di concertazione, invece, quello alla Casa Bianca fra il presidente Joe Biden e Scholz, con quest’ultimo, al timone del G7, pronto a lanciare un monito: «Ci sarà un prezzo molto alto da pagare se l’Ucraina verrà attaccata». La riunione ha anche cercato di fugare ogni sospetto attorno ai legami economici russo-tedeschi e all’eventuale inaffidabilità di Berlino, soprattutto sul nodo strategico del gas russo. In proposito, Scholz si è mostrato pronto ad aprire a quell’ipotesi cruciale che la Casa Bianca aveva formulato fin dalla vigilia come un aut aut: «Se la Russia invade l’Ucraina, in un modo o nell’altro il Nord Stream 2 non deve andare avanti». Ieri Biden ha aggiunto che in caso di intervento russo «tutta la Nato è pronta a reagire». Da Kiev, intanto, anche Baerbock ha assicurato che Berlino è pronta «a pagare un alto prezzo economico» per l’Ucraina.
Sullo sfondo della macchina diplomatica in azione, le dichiarazioni più aspre di giornata sono giunte dal quartier generale Nato. Ricevendo a Bruxelles il presidente polacco Andrzej Duda, che chiede protezione «lungo tutto il fronte orientale», il segretario generale Jens Stoltenberg ha fatto il punto: «Abbiamo aumentato la prontezza della forza di risposta della Nato che può essere dispiegata con breve preavviso, nel giro di giorni». Un rafforzamento «nei cieli, nei mari e a terra», grazie a capacità non solo dagli Usa, con altri 8.500 militari assegnati alla Nrf, ma pure da Regno Unito, Spagna e Danimarca, anche sulla «sorveglianza, nel fianco orientale e in particolare nel Mar Nero». «Se la Russia vuole meno Nato alle frontiere, ha ottenuto l’opposto», ha riassunto Stoltenberg, denunciando la riprogrammazione in questo mese delle «esercitazioni annuali delle forze nucleari» russe, già servite in passato «da copertura per azioni aggressive». Mosca ha perpetrato «il dispiegamento più massiccio dalla Guerra fredda», ha martellato Stoltenberg, proprio mentre si apprendeva in giornata, dal ministro lettone della Difesa, Artis Pabrikis, del moltiplicarsi di focolai Covid fra i militari russi ammassati alla frontiera con l’Ucraina.
Un fattore che potrebbe influenzare, in un senso o nell’altro, le decisioni di Putin. Oggi, Macron giungerà a Kiev, transitando poi in giornata a Berlino per incontrarvi Scholz e Duda. Una trama d’incontri ormai fittissima, dunque, in modo da disegnare un avvertimento permanente d’insieme quanto più persuasivo verso Mosca.