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Ucraina. Lyman, la città lungo il fronte dove si vive sotto terra

Giacomo Gambassi, inviato a Lyman martedì 25 aprile 2023

Sergeiy Barabin, 76 anni, che da un anno vive sottoterra a Lyman, nelle cantine del suo condominio bombardato

La luce smorzata di un neon è il sole che illumina le giornate di Sergeiy Barabin. Nel dedalo di corridoi dove vive, quello vero sarebbe d’impiccio: significherebbe “pericolo” per lui e per i vicini. «Se entrano i raggi del sole, vuol dire che non siamo ben protetti dalle bombe», spiega sottovoce. Vede il sole unicamente quando esce a prendere l’acqua al pozzo e a cercare la legna oppure quando si mette in fila per ricevere il pacco viveri che gli permette di mangiare. È da un anno sottoterra, nelle cantine del suo condominio. Un sommerso, com’è sommersa la vita a Lyman. Quella poca vita che resiste fra le macerie di una città sulla linea del fronte. L’esercito russo è a meno di dieci chilometri, schierato fra le trincee e le lande da cui partono ogni giorno razzi e colpi d’artiglieria verso l’abitato e i villaggi sparsi che formano quella che un tempo era la “porta del Donbass” al confine con la regione di Kharkiv. Ora, come ripetono i bollettini delle forze armate ucraine, è assieme a Bakhmut, Avdiivka e Mariinka una delle quattro direttrici calde nell’oblast di Donetsk lungo le quali l’Armata Rossa tenta di avanzare. Terreni di «battaglie feroci», dicono i dispacci ufficiali. E città delle catacombe dove si può restare soltanto se si accetta di avere per casa un seminterrato. Anche perché in molti la casa non ce l’hanno più: devastata dagli attacchi che si susseguono fin dai primi giorni della guerra.

La ricerca dell'acqua nei pozzi fra i condomini bombardati di Lyman - Leonid Logvynenko

​Vale anche per Sergeiy che a 76 anni si è ritrovato senza un tetto. Il palazzo di cinque piani in cui viveva è stato colpito subito dopo l’inizio dell’invasione su vasta scala. Stessa sorte per quattro dei cinque condomini intorno che formavano una sorta di fortezza proletaria in via Pryvokzalna. In 350 li popolavano fino al 2022: sono rimasti in cinquanta. «Che cosa puoi fare quando non hai più dove stare e le bombe continuano a cadere? Nasconderti qui sotto», dice. E subito aggiunge: «Poi dove potrei andare? Non ho alternative». Nessuno sa quanti siano a Lyman gli irriducibili della disperazione che sfidano la sorte e i raid russi. Forse quattromila sui ventimila che la abitavano. Le autorità locali vorrebbero una città deserta, senza civili. «Ci continuano a chiedere di evacuare, ma non la lasceremo», ripete Sergeiy.

I condomini bombardati di Lyman - Gambassi

Bisogna scendere venti gradini per arrivare dove ha trovato rifugio: non facendo le scale del palazzo d’impronta sovietica che sono inagibili, ma ricorrendo a quelle del portone di servizio al lato. Quattro mattoni e una piccola griglia fra i gradini sono stati la cucina di qualcuno dei venti coinquilini che condividono con Sergeiy gli scantinati. L’hanno aiutato a farsi il suo monolocale fra le mura senza intonaco e le porte di ferro dei sotterranei. Una tv ancora a tubo catodico lo tiene collegato con il resto dell’Ucraina. La stufa a legna è stata la sua salvezza nell’inverno gelido. Una vecchia cucina a gas è la tavola. Poi due pensili attaccati alle pareti, un materasso malconcio sopra quattro assi come letto e un ceppo di legno per sedia. Nel passaggio dietro l’angolo vive la sorella con la figlia. E anche una famiglia con due figli piccoli. Sono ancora cinquecento i bambini in città.

A Lyman il polo ferroviario distrutto dagli attacchi russi - Gambassi

Sergeiy era un operaio. Come molti a Lyman, il paese degli operai e dei ferrovieri. A scriverne la storia negli ultimi decenni sono state le fabbriche alimentate con il carbone delle vicine miniere e soprattutto lo snodo ferroviario, l’orgoglio della comunità, da cui passava un terzo delle merci della regione di Donetsk e che dava un salario a quasi la metà della gente. Oggi i binari divelti, la stazione rasa al suolo, le carcasse dei treni incendiati sono i simboli della distruzione della cittadina. «Anche io lavoravo alle ferrovie», racconta Grigoriy Puavko. Sessantatré anni, sguardo malinconico, è fermo al portone di uno dei pochi condomini ancora integri. «Se non ci sono attacchi, resto nell’appartamento al secondo piano. Altrimenti scendiamo anche noi giù sotto». Il «noi» include la moglie e la suocera invalida. «Non vogliamo lasciare la casa. La guerra non ci può cacciare», sostiene Grigoriy.

Grigoriy Puavko che vive fra i palazzi bombardati di Lyman - Gambassi

Anche lui, come tutta Lyman, riemerge dalla clandestinità solo per bisogno. «Ormai sono pochissimi i negozi in funzione - riferisce -. Vivo grazie alla modesta pensione e agli aiuti umanitari». Il cibo arriva con i pulmini solidali: compreso quello dei salesiani greco-cattolici che visitano regolarmente gli ultimi della città. La grande emergenza si chiama “medicinali”: chiuse tutte le farmacie, è possibile contare solo su quelli portati dai volontari di fondazioni e onlus come “East-West” che ha sede a Kharkiv. Non c’è acqua corrente nel comprensorio: allora si ricorre ai secchi e si fa la spola con le fontanelle. Dalle finestre di Grigoriy si vede il cratere di cinque metri che racconta l’ennesimo missile piombato sul quartiere. A presidiarlo i cani randagi che si aggirano per le rovine e i cumuli di detriti che erano pareti o mobili degli appartamenti sfregiati.

Una casa bombardata nella cittadina di Lyman - Gambassi

È una terra tormentata Lyman. Occupata quattro volte da quando sono cominciati gli scontri in Donbass nel 2014: l’ultima un anno fa, come ricordano le scritte bianche sui cancelli di condomini e villette malmesse dove si legge “Uomini” per dire alle truppe di Mosca che lì c’era ancora qualcuno e per chiedere di essere risparmiati dal fuoco: non l’hanno fatto. La città è stata liberata in autunno ma non è tornata in superficie, circondata com’è dall’esercito del Cremlino e custodita dai soldati ucraini che hanno preso il posto della maggioranza dei residenti.

Un militare ucraino presidia le strade di Lyman - Gambassi

Una città che vive anche l’incubo dei collaborazionisti. Alle porte dell’abitato la polizia registra uno per uno chi entra ed esce. «Cerchiamo un paio di individui che stanno passando informazioni al nemico», spiegano gli agenti. «La guerra è una tragedia ma non può sopraffarci», sospira Sergeiy. E, mentre pela le patate su una bacinella che sostituisce il lavabo nella sua casa interrata, confida: «Se ho paura? Direi di no. Anche perché sarebbe come darla vinta ai russi».

I condomini bombardati di Lyman custoditi dai cani randagi - Gambassi