Indios. Lula senz'armi in Parlamento per salvare l'Amazzonia ricorre ai giudici
Il presidente Lula non ha la maggioranza in Parlamento
L’incubo del presidente Luiz Inácio Lula da Silva si è avverato. E prima del previsto. Ad appena sei mesi dall’inizio del mandato, il governo deve cimentarsi nel “tiro alla fune” con il Parlamento, una sorta di versione brasiliana “dell’anatra zoppa” Usa. Privo di una maggioranza netta in Assemblea, l’esponente del centrosinistra è costretto a dare la conta degli alleati per salvare la propria agenda. Nel giro di due settimane, deputati e senatori ne hanno attaccato l’asse portante: la difesa dell’Amazzonia e dei popoli indigeni. Su questo il presidente si gioca la credibilità all’interno – sottolineando lo stacco col predecessore Jair Bolsonaro – e soprattutto nell’ambito internazionale. La conservazione della maggior foresta del pianeta è centrale per arginare la crisi climatica mondiale. Fin dall’indomani dell’elezione – con l’esordio alla Conferenza Onu di Sharm el-Sheikh –, Lula ha giocato la “carta Amazzonia” per far entrare il Paese nel consesso dei Grandi. Una minaccia per la lobby dei latifondisti che ha mobilitato i suoi rappresentanti in Congresso: 347 su di 594. Martedì è arrivato, così, con il sì anche di tre partiti della coalizione di governo, il primo sì al progetto di legge sul “marco temporal”, che limita la restituzione delle terre agli indigeni, sancita dalla Costituzione del 1988, agli appezzamenti occupati dai nativi al momento dell’entrata in vigore della Carta. Una quantità irrisoria, poiché al tempo la dittatura aveva espulso in massa gli indios dai loro territori. Un dramma non solo dei popoli amazzonici che si stanno concentrando a Brasilia per protestare. Le terre indigene – come conferma l’Onu che ha duramente criticato il “marco temporal” – sono quelle meglio conservate, isole di selva in mezzo a un oceano di coltivazioni intensive e pascoli. «Questo è il futuro che attende il resto dell’Amazzonia se la normativa verrà approvata anche dal Senato», afferma l’attivista Adriano Karipuna dell’Associazione dei popoli indigeni (Apib) e collaboratore di Cospe. Sulla stessa linea Survival International. Tanto più che il 26 maggio, il Senato ha deciso di sottrarre alcune competenze chiave in materia di terra e deforestazione ai ministeri dell’Ambiente e dei Popoli indigeni – diretti rispettivamente dall’ambientalista Marina Silva e dall’attivista Sonia Guajajara – in favore di quelli dell’Innovazione e della Giustizia, a guida moderata. I due centri propulsori della politica ecologica del governo rischiano di diventare scatole vuote. La mancanza di una base legislativa solita è un problema cronico degli esecutivi brasiliani. La frammentazione politica in una miriade di partiti costringe i presidenti a negoziati acrobatici per governare. Spesso, inoltre, il sistema favorisce la corruzione e gli scambi poco trasparenti. La scelta di Bolsonaro di lasciare molte questioni all’arbitrio del Parlamento, dove aveva una forte maggioranza, ha, tuttavia, ha reso la situazione ancor più complicata al successore. Il politologo Fernando Limongi definisce quello brasiliano ormai un «presidenzialismo inoperante». Una bella sfida anche per un abile mediatore come Lula il quale, conscio delle difficoltà, punta sulla Corte Suprema, i cui poteri sono ampi. Proprio quest’ultima potrebbe archiviare una volta per tutte il “marco temporal” se mercoledì arrivasse l’atteso verdetto su un ricorso specifico la cui validità sarebbe, però, generale. La fretta del Congresso al riguardo è stata dovuto proprio alla volontà di mettere l’Alto tribunale di fronte al fatto compiuto. Il presidente, in ogni caso, pensa nel lungo periodo. Per questo, venerdì ha scelto di nominare come alto giudice al posto del pensionato Ricardo Lewandowski, il suo difensore, Cristiano Zanin. Non è la prima volta che un leader designa un fedelissimo, la scelta però, ha creato polemiche. Lula, però, è rimasto fermo: la Corte potrebbe rivelarsi il trampolino per oltrepassare il muro del Parlamento.