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Pandemia. L'Onu: un «salario» ai senza lavoro in America Latina

Lucia Capuzzi giovedì 14 maggio 2020

Il negazionista Jair Bolsonaro, indossando la mascherina, mantiene i giornalisti brasiliani a distanza durante la conferenza stampa

La macchina delle sepolture non si ferma mai. A Vila Formosa, cimitero pubblico di San Paolo, il mese scorso sono state scavate 8mila fosse aggiuntive per far fronte alla carenza di spazio. Tutte sono state già riempite. E, ogni giorno, continuano ad arrivare tra le 70 e le 80 bare di persone morte con sintomi compatibili al coronavirus.

Oltre il triplo rispetto all’epoca prima del Covid. Un andamento simile a quello di Manaus, in Amazzonia. L’evoluzione della mortalità nelle due città è, dunque, simile a quella sperimentata da Londra e Madrid durante il picco. Nel Gigante del Sud ormai la pandemia è fuori controllo, con 881 decessi nelle ultime 24 ore. Ma il dramma non riguarda solo quest’ultimo che, al momento, concentra il 45 per cento dei contagi del Continente, ormai oltre quota 400mila, e quasi la metà degli più di 23mila morti. Uno studio comparato del New York Times dimostra come la diffusione del virus in America Latina proceda a «ritmi europei». O, meglio, eguagli le cifre del Vecchio Continente nel periodo di massima emergenza. A Lima, in Perù – secondo Paese per trasmissione della regione ma con decessi finora contenuti –, le vittime sono duplicate in dieci giorni, come accaduto a Parigi nel pieno della pandemia. A Guayaquil, in Ecuador, sono addirittura quintuplicati, come avvenuto a New York. A Santiago del Cile, con oltre 2.200 malati e 12 morti in 24 ore, le autorità hanno deciso il lockdown totale nell’area. Di questo passo, l’America Latina rischia una catastrofe, non solo sanitaria.

Le proiezioni della Commissione economica Onu per l’America Latina (Cepal) sono allarmanti: si profila un nuovo decennio perduto, con oltre un terzo della popolazione – 215 milioni di abitanti – ridotto in povertà. A preoccupare, in particolare, la sorte dei lavoratori informali, ovvero la metà della manodopera, rimasti senza risorse a causa delle varie forme di quarantena adottate dai governi. Almeno 140 milioni di uomini e donne – venditori ambulanti, lustrascarpe, domestici – che vivono alla giornata: per loro restare a casa significa, dunque, non poter comprare cibo e medicine per se e per le famiglie.

Da qui il forte appello lanciato dalla Cepal ai governi della regione perché garantiscano loro un salario di emergenza per il prossimo semestre. Le Nazioni Unite hanno proposto una somma mensile di 73 dollari, cifra minima eppure in grado di assicurare almeno l’alimentazione di base. L’entità della misura – che includerebbe anche gli indigenti – equivale al 3,4 per cento del Pil continentale. Quasi la metà rispetto all’evasione fiscale. La lotta agli evasori e un patto con l’1 per cento più ricco per una tassazione maggiormente progressiva è, secondo la Cepal, il modo più indolore per finanziarlo. La questione del salario universale per gli «informali» è uno dei cavalli di battaglia dei movimenti popolari, sindacati spontanei per gli esclusi dall’economia formale. Nella lettera a questi ultimi, diffusa il giorno di Pasqua, papa Francesco aveva ripreso l’idea proprio alla luce dell’emergenza Covid: «È giunto il momento di pensare a una forma di retribuzione universale di base che riconosca e dia dignità ai nobili e insostituibili compiti che svolgete; un salario che sia in grado di garantire e realizzare quello slogan così umano e cristiano: nessun lavoratore senza diritti».