Stati Uniti, Gran Bretagna e Francia stanno ormai proiettandosi «oltre» la risoluzione numero 1973, con cui il Consiglio di sicurezza dell’Onu ha autorizzato l’imposizione di una no flyzone sulla Libia e «tutte le misure necessarie » per proteggere i civili. Mentre l’Italia ribadisce che non fornirà armi offensive ai ribelli di Bengasi, è il ministro della Difesa francese Gerard Longuet ad ammettere che si punta a un cambio di regime nel Paese nord-africano, e dunque alla fine di Muammar Gheddafi. Alla domanda se con ciò i governi aderenti alla coalizione non rischierebbero di spingersi «al di là dei limiti» della risoluzione Onu, Longuet ha risposto: «Della risoluzione 1973? Certo che sì! Essa non si occupa del futuro di Gheddafi ma penso che, quando tre grandi potenze affermano la stessa cosa, questo anche per la Nazioni Unite è rilevante, e forse un giorno il Consiglio di sicurezza adotterà un’altra risoluzione». Quanto all’appello per «evitare l’uso della forza», lanciato giovedì dall’isola cinese di Hainan dal gruppo dei cosiddetti Brics, il ministro francese ha commentato che «è naturale» che Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica «puntino i piedi ». «Però – ha chiesto in tono polemico Longuet – quale grande Paese può accettare che un capo di Stato possa risolvere i propri problemi dando ordine di aprire il fuoco con i cannoni contro la sua stessa popolazione? Nessuna grande potenza è in grado di accettare una cosa del genere – ha ammonito il ministro francese – Accanto all’azione militare mi piacerebbe assistere a un’apertura politica tale che i libici possano ricompattarsi per immaginare insieme, da soli un avvenire senza Gheddafi». Gli stessi Nicolas Sarkozy, Barack Obama e David Cameron – in un articolo congiunto pubblicato ieri su quattro quotidiani – hanno sottolineato che è «impossibile » immaginare un futuro per la Libia con Gheddafi al potere. «Il nostro dovere e il nostro mandato in base alla risoluzione Onu 1973 è proteggere i civili, ed è ciò che stiamo facendo», hanno scritto i tre leader, secondo i quali però la rimozione con la forza del Colonnello non è un obiettivo. Certo è che finché Gheddafi rimarrà al potere, «la Nato e i suoi partner della coalizione devono continuare le loro operazioni per proteggere i civili e aumentare la pressione sul regime». Per il segretario generale dell’Alleanza Atlantica, Anders Fogh Rasmussen, il messaggio dei tre leader «riflette l’unità all’interno della Nato». A chi gli ha chiesto se l’iniziativa dei tre leader prelude a un cambio della risoluzione Onu, Rasmussen ha risposto di non avere sentito alcuna richiesta di modifica e ha aggiunto che le operazioni in Libia «non vanno oltre la risoluzione delle Nazioni Unite». Non si è fatta attendere, peraltro, una nuova presa di posizione della Russia. Il ministro degli Esteri Sergej Lavrov ha detto di ritenere «urgente» una tregua in Libia e l’avvio di negoziati tra le due parti in causa. Per Lavrov in «molte occasioni» le operazioni militari della Nato sono andate oltre il mandato della risoluzione Onu 1973, la quale peraltro «non ha autorizzato il cambio di regime in Libia». Dal Palazzo di Vetro, intanto, il capo del dipartimento per il peacekeeping, Alain Leroy, ha detto ieri che l’Onu non esclude un dispiegamento di caschi blu in Libia nel caso di una tregua. «Sia chiaro che è prematuro parlarne adesso, ma se ci fosse un cessate il fuoco, esso andrebbe monitorato, e si potrebbe ricorrere ai militari delle Nazioni Unite, ha detto Leroy. Intanto anche ieri gli aerei della Nato hanno effettuato raid sia a Tripoli che a Sirte. Da parte loro le forze fedeli a Gheddafi hanno lanciato una pioggia di razzi su Misurata, contesa agli insorti, uccidendo almeno otto persone. Sarebbero almeno 120 i missili arrivati, in particolare sul quartiere di Qaser Ahmet, che già giovedì era stato oggetto di un duro attacco. Stando al New York Times, i lealisti starebbero utilizzando anche bombe a grappolo.