Mondo

Analisi. Lo «zar Vladimir» dimostra la sua Teoria dell’impunità relativa. Ma questo forse non gli basta

Fabio Carminati mercoledì 5 marzo 2014

Anche se i maligni sostengono che il 60 per cento della sua te­si sia stato smaccatamente co­piato, Vladimir Vladimirovic Putin si è laureato in Diritto internazionale al­l’Università di Leningrado nel 1975. Ma in questi giorni, davanti alla pla­tea del mondo, è sembrato più un fi­sico teorico che un giurista dimo­strando con i fatti la sua Teoria gene­rale dell’impunità geopolitica relati­va. Ha postulato un principio, quello della libertà assoluta di azione. E lo ha dimostrato. Con poche mosse e qual­che migliaio di militari delle truppe speciali, i famigerati “Spetnaz”, ha pre­so la Crimea e messo sotto scacco l’in­tero Occidente.Il principio iniziale, formulato nella prima permanenza al Cremlino e raf­finato un paio d’anni dopo il suo ri­torno sulla Piazza Rossa, è semplice: può un ex potenza imperiale agire co­me se il Muro di Berlino non fosse crol­lato, come se la Guerra fredda fosse ancora a temperature di gran lunga inferiori allo zero e la politica dei bloc­chi di fatto resistente a qualsiasi isti­tuzione sovranazionale? La risposta che sembra aver dato in questi giorni è: sì, può farlo.È riuscito, senza sparare per ora una sola cartuccia, a occupare la penisola di Crimea. Come un abile giocatore di basket ha messo i suoi militari in po­sizione di “blocco” che, senza com­mettere fallo, hanno neutralizzato qualsiasi azione delle inconsistenti forze militari ucraine presenti intorno alle basi della punta meridionale cri­mea. Poi ha gestito le naturali reazio­ni, che sono state in ordine sparso e spuntate. L’Europa si è spaccata an­cora prima di riunirsi lunedì a Bruxel­les e difficilmente troverà una linea comune domani al vertice dei capi di Stato e governo convocato in fretta e furia nella capitale dei 28. Per la an­nosa miopia energetica, la Germania e in parte l’Italia hanno invocato il «dialogo». Parigi e Londra hanno in­vece varcato idealmente l’Oceano e si sono accodate a Barack Obama. Che oltre alle parole e le sanzioni (con il ri­schio dell’effetto boomerang) sa be­nissimo che non può andare, perché nessuno nel nuovo secolo concepisce l’ipotesi di una risposta militare a un’a­zione illegittima alle porte dell’Occi­dente. Nato compresa.Eppure il crollo repentino della Borsa di Mosca deve pur far riflettere, fa­cendo guardare un po’ più lontano dal primo pericolo palesatosi: cioè il bloc­co delle importazioni di gas da Mo­sca, con Berlino e Roma in prima fila come terminali dei grandi gasdotti russi. L’economia russa è ormai total­mente radicata in Europa, più salda­mente addirittura dei basamenti di cemento che reggono le condotte del gas. L’isolamento economico, a gioco lungo, nuoce più a Putin che all’eco­nomia europea. E ieri Putin e Lavrov l’hanno fatto capire dicendo che le sanzioni non «avranno effetto» ma sa­pendo benissimo che è il contrario. Vladimir Vladimirovic ne è consape­vole e per questo ha giocato sui tem­pi brevi per dimostrare il suo teorema. Con il quale ha evidenziato anche l’impotenza americana (che prima ha alimentato la rivolta a Kiev e poi ha ri­tirato la mano, come fece ad esempio in Egitto ai tempi della caduta di Mu­barak). E dimostrato l’assioma di una Crimea russofona e ormai tornata to­talmente russa, come prima del rega­lo di Nikita Krushev.Ma è sul tempo medio-lungo che gli effetti della teoria saranno ancora più palesi. A fine mese Sinferopoli voterà l’indipendenza e Kiev e l’Europa non potranno che prenderne atto. Ma que­sto basterà a Putin? Le ricche miniere di Donetsk, l’area di Odessa e la zona industriale di Kharkiv resteranno alla finestra o punteranno più in alto sna­turando l’assetto attuale dell’Ucraina e portando definitivamente sotto l’in­fluenza russa la regione più florida del Paese, quella che per 1.400 chilome­tri divide la frontiera con la Russia?