La mobilitazione. Lo sciopero della fame globale per appoggiare il popolo curdo
Leyla Guven
Una protesta pacifica e carica di significato. Un gesto estremo condotto nel silenzio, ma che ha la forza del più acuto grido di libertà. Sono circa 7.500 in tutto il mondo le persone che stanno conducendo uno sciopero della fame in solidarietà con il popolo curdo. Lo fanno per richiamare l’attenzione internazionale sulle condizioni della minoranza, in Turchia, ma anche in Iran, Iraq e Siria e per chiedere che termini la detenzione in regime di isolamento di Abdulllah Ocalan, fondatore del Pkk, il Partito dei lavoratori del Kurdistan, formazione considerata da Ankara, Washington e Bruxelles un’organizzazione terroristica.
A dare il via all’iniziativa, è stata in Turchia la parlamentare curda, Leyla Guven, che si priva del cibo, a parte il sostentamento necessario per respirare, ormai da 176 giorni. Una protesta, la sua, contro la repressione di cui è stato fatto oggetto il popolo curdo, soprattutto dopo il fallito golpe del luglio 2016, al quale sono seguite purghe di vasta scala, portate avanti dal presidente, Recep Tayyip Erdogan. Ufficialmente, Ankara avrebbe agito per eliminare le minacce terroristiche all’interno del Paese. In realtà, l’offensiva ha messo fuori gioco il maggior numero di oppositori politici.
Fra questi, c’è anche Selahattin Demirtas, il segretario del Partito curdo Hdp, arrestato nel novembre 2016 e da quel momento in un carcere di massima sicurezza. La sua iniziativa è stata seguita da centinaia di persone, fra cui Erol Aydemir, curdo di 30 anni, da cinque residente in Italia. «Ho iniziato a non mangiare dal dopo il 21 marzo, il giorno del Nevruz, il capodanno curdo – spiega ad Avvenire –. Nelle prime settimane stavo anche abbastanza bene, ora inizio a sentirmi provato, anche psicologicamente. I governi non hanno capito che noi stiamo lottando per la libertà. Con il nostro sciopero vogliamo cercare di sensibilizzare l’opinione pubblica mondiale. Un altro punto su cui vogliamo richiamare l’attenzione è il fatto che gli Stati la devono smettere di vendere armi e finanziare le guerre che dilaniano il Medio Oriente».
Alla protesta partecipano anche numerosi yazidi, una confessione religiosa presente in Iraq da prima della diffusione dell’islam e quasi sterminata dal Daesh, che è riuscita a mettersi parzialmente in salvo solo grazie alla protezione dei combattenti curdi. L’obiettivo è quello di coinvolgere altre persone in questa protesta pacifica, dalla quale, però potrebbero arrivare presto notizie drammatiche: quindici partecipanti, in sciopero da centoquaranta giorni, sarebbero ormai in condizioni di salute precaria. Per dare ancora più forza alla loro azione di protesta, i dimostranti hanno iniziato a rifiutare il cibo completamente. Sono pronti a lasciarsi morire pur di portare all’attenzione della comunità internazionale la tragedia del popolo curdo.