L’offensiva del califfato nel Kurdistan riavvicina i curdi al premier Nouri al-Maliki. È il “serrate le fila” contro l’impressionante dilagare dell’insurrezione jihadista dell’Isis di Ibrahim abu Bakral al-Baghdadi: dopo la conquista domenica da parte del califfato di Sinjar – una ottantina di chilometri a ovest di Mosul – di Zumar e dei campi petroliferi di Ain Zalah e Batma, strappati ai peshmerga curdi, ieri il governo di Baghdad ha ordinato raid aerei a sostegno delle milizie del Kurdistan. Una svolta, dopo anni di tensioni fra Baghdad ed Erbil per il controllo dei pozzi petroliferi e la gestione del bilancio statale. Una svolta dopo l’offensiva dei jihadisti di domenica che, riferisce l’inviato speciale dell’Onu Nickolay Mladenov, ha messo in fuga altri 200mila iracheni. L’ennesimo esodo forzato in un Kurdistan ormai a rischio «tragedia umanitaria». Molti sfollati sono yazidi, una minoranza di origine e lingua curda che professa una religione propria, considerati dagli estremisti sunniti come «adoratori del diavolo». Quello che lo Stato islamico sta facendo contro gli yazidi a Sinjar è «pulizia etnica», ha denunciato Khodhr Srirag, attivista per i diritti umani degli yazidi da Dohuk, città nella regione autonoma del Kurdistan, situata circa 100 chilometri a nord-est di Sinjar. «Ci sono ancora migliaia di persone in marcia verso Dohuk, ma altre migliaia sono ancora bloccate sulle montagne di Sinjar – ha dichiarato l’attivista alla
France-presse –. Tra di loro ci sono persone anziane, bambini. Non hanno né acqua né cibo. Alcuni sono già morti». A Sinjar avevano trovato rifugio anche centinaia di famiglie turcomanne sciite, un’altra minoranza irachena, fuggite da Tall Afar, una cinquantina di chilometri più a est, già caduta sotto il controllo dei jihadisti il 23 giugno. Le forze curede irachene dei peshmerga ieri hanno annunciato una confroffensiva, anche se un anziano funzionario ha chiesto agli Usa di intervenire e di fornire armi pesanti «per combattere il terrorismo». L’Isis, con i suoi guerriglieri in turbante nero, fa paura anche ai curdi, un popolo da sempre in armi. Così il premier iracheno Maliki che dal voto del 30 aprile cerca invano una maggioranza per governare, ha dato ordine all’aviazione di intervenire in appoggio dei peshmerga, bombardando le postazioni dello Stato islamico a Sinjar e nei dintorni della città. «L’aviazione e i velivoli dell’esercito hanno cominciato a fornire supporto alle forze peshmerga e hanno lanciato una serie di attacchi», ha detto il generale Kassim Atta, portavoce dello stesso premier. Così i peshmerga hanno ripreso allo Stato islamico il controllo del posto di frontiera con la Siria di Rabia, grazie alla collaborazione con i miliziani curdi siriani. Frontiere sempre più labili, con una preoccupante fiammata jihadista anche in Libano: per il terzo giorno consecutivo l’esercito di Beirut è stato impegnato in combattimenti nel nord-est del Paese, intorno alla cittadina di Arsal, contro miliziani fondamentalisti sunniti penetrati dalla Siria: 14 soldati morti e 86 feriti, oltre a un numero imprecisato di civili uccisi. Tra questi vi sarebbero anche tre bambini della stessa famiglia.