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L'altro fronte. Qualcosa si è rotto nel regime iraniano e nel blocco dei suoi alleati

Nello Scavo giovedì 3 ottobre 2024

Folla in piazza Imam Hussei ieri a Teheran per festeggiare i raid su Israele

La “cupola d’acciaio” israeliana non è l’Iron dome, che a dispetto del nome non è del tutto impenetrabile, ma la più ampia e invisibile “mezzaluna di fuoco” che dalla Siria attraversa l’Iraq e si spinge fino all’estremo sud mediorientale, dove si annidano le forze degli Houthi nello Yemen. Un spazio al cui interno ci sono Libano, Iraq, le fibrillazioni dei fanatici in Giordania e di tanto in tanto le bande turbolente del Sinai.

Le cronache precedenti al massacro del 7 ottobre, il bagno di sangue perpetrato da Hamas e che ha innescato gli ultimi dodici mesi di conflitto, già delineavano la risposta colpo su colpo con cui Tel Aviv ha reagito alle reiterate azioni dell’“Asse della resistenza” dal nome con cui l’Iran ha voluto rivendicare la direzione strategica delle operazioni antisraeliane. Qualcosa però nel blocco di potere dell’antica Persia si è rotto. Nei mesi scorsi Teheran non aveva nascosto l’irritazione per il “colpo di testa” di Hamas, che con il crimine del 7 ottobre ha rimesso in moto il risiko di una guerra oramai tracimata fuori dai confini israeliani. Anche ad Hezbollah erano giunte le avvisaglie di una certa delusione degli ayatollah per come le cose si stessero mettendo.

Ieri il New York Times, non smentito per l’intera giornata, ha scritto che il nuovo presidente iraniano Masoud Pezeshkian, accreditato di timide inclinazioni riformiste, è stato informato dell’attacco lanciato martedì sera contro Israele solo «poco prima che iniziasse». Il quotidiano americano cita fonti israeliane secondo cui ciò dimostra che il «regime iraniano era diviso sull’operazione» e «probabilmente aumenteranno le divisioni nel governo». Non è un dettaglio trascurabile. Perché se a riferire informazioni, non disconosciute, sull’Iran è qualche gola profonda di Tel Aviv, vuol dire che Israele dispone di ottime informazioni. In effetti, l’attacco è stato eseguito dall’Aeronautica dei Guardiani della Rivoluzione, che rispondono direttamente alla Guida suprema, l’ayatollah Ali Khamenei. L’esercito regolare, invece, non avrebbe avuto che un ruolo marginale. I Pasdaran hanno vendicato l’eliminazione di Ismayl Haniyeh, l’allora capo di Hamas ucciso a Teheran nello scorso luglio, e l’assassinio mirato di Nasrallah, capo di Hezbollah in Libano. Ma non è quello che chiede la gran parte dell’opinione pubblica iraniana. Perché se Israele è considerato il nemico e gli Usa “il grande satana”, in rete circolano informazioni che testimoniano perfino festeggiamenti in clandestinità per la morte di Nasrallah, considerato una pedina nelle mani del regime sciita. Le autorità hanno intanto esteso fino ad oggi il blocco dello spazio aereo, temendo una reazione israeliana o sperando di far credere di essere pronti a colpire ancora, assicurando di essere in grado di proteggere il Paese. Ai distributori di benzina, però, ieri si sono registrate code. Segno che la popolazione teme che accada all’Iran quello che sta succedendo al Libano, e che il regime non sia in grado di fronteggiare davvero un attacco indirizzato specialmente alle infrastrutture energetiche.

La causa principale dei problemi in Medio Oriente è «la presenza degli Stati Uniti e di numerosi Paesi europei », ha attaccato l’ayatollah Khamenei nel suo primo intervento pubblico dopo l’attacco missilistico sferrato contro Israele. « Nella nostra regione la causa principale dei problemi, che porta a conflitti, guerre, preoccupazioni e ostilità, è la presenza di chi afferma di sostenere la pace e la calma nella regione ovvero l’America e alcuni Paesi europei», ha aggiunto.

Niente di quel accade in Medio Oriente si risolve con gli scontri diretti e in campo aperto. Le minacce sono sempre trasversali. Si spara a Gaza per mandare un segnale a Teheran. Si colpisce Tel Aviv per recapitare un avvertimento a Washington. L’ultima è di ieri e circolava sui canali Telegram vicini ai Pasdaran iraniani e ai gruppi armati sciiti di tutta la regione. «Se Israele attacca gli impianti petroliferi in Iran, ci sarà una forte risposta sotto forma di attacchi agli impianti petroliferi in Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Azerbaigian, Kuwait e Bahrein». Una prospettiva di guerra dai deserti al Caucaso, di nuovo tra sunniti e sciiti accomunati dalla corsa al petrolio, che rischierebbe di trasformare la “mezzaluna di fuoco” in una immensa Gaza.