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I dati. L'indecifrabile pandemia africana: autocrati e test mascherano i numeri

Paolo M. Alfieri venerdì 15 maggio 2020

Un paziente sottoposto al test del tampone nel piazzale dell’Università di Maiduguri nel nord della Nigeria

Impossibile resistere ancora a lungo: da tempo era assediato. E così, due giorni fa, anche il Lesotho si è arreso: era l’ultimo Paese in Africa a non aver ancora registrato contagi da coronavirus a livello ufficiale. Una resistenza «sbalorditiva », considerando che il suo territorio è completamente circondato da quello del Sudafrica, che è invece al numero uno per numero di contagi in Africa, con 12.074 casi su 72mila totali nel continente. Strano caso, quello del Lesotho, ma non certo l’unico in un continente in cui motivazioni politiche e bassissime capacità di test dei sistemi sanitari locali rendono impossibile sapere davvero quale traiettoria stia prendendo il Covid–19. I numeri ufficiali raccontano di un’Africa che per ora regge, con «soli» 2.480 morti sparsi in un continente con una popolazione che è tre volte quella dell’Ue. Dati che hanno spinto ieri anche Le Figaroa titolare che «l’Africa resiste meglio del previsto alla pandemia», citando tra i possibili fattori il clima, la bassa età media, la genetica. Eppure, viene da chiedersi, di quali dati stiamo parlando? E su quale trasparenza possiamo contare, considerando lo storico basso «rating» delle autorità locali in materia di governance?

È appena di ieri la decisione del governo del Burundi (27 contagi, 1 morto) di dichiarare i quattro rappresentanti dell’Oms «persone non grate»: dovranno lasciare il Paese. Sono accusati, a cinque giorni dalle elezioni presidenziali in cui il generale Évariste Ndayishimiye cercherà di raccogliere l’eredità di Pierre Nkurunziza, di «interferenze » nella gestione dell’epidemia: non volevano stare al loro posto. Il tutto mentre gli ultimi comizi proseguono senza alcuna misura di contenimento e tra le accuse di medici e opposizione sui «veri» numeri di Covid–19. C’è poi la Tanzania: 509 casi e 21 morti, recita il già contestato bollettino ufficiale, che però risale al 29 aprile, ultimo giorno in cui le autorità hanno deciso di diffondere i dati. Mentre le opposizioni e gli attivisti parlano di continue sospette sepolture notturne, il contestato presidente John Magufuli, dopo gli arresti dei reporter che si occupano della pandemia, ha licenziato Nyambura Moremi, a capo dell’unico laboratorio in grado di effettuare test sul Covid–19. Nel frattempo, Magufuli ha ordinato casse dell’intruglio anti–Covid–19 a base di erbe di artemisia prodotto in Madagascar e bollato già come una bufala dall’Oms. Quel Madagascar (212 casi, 0 morti) in cui gli studenti sono costretti a ingurgitare il portentoso liquido ogni mattina prima di scuola, pena l’espulsione. Oltre alle pressioni governative, c’è il fattore terrorismo che rende in molte zone impossibile tracciare contagi e morti, mentre grave, in generale, è la carenza di test, Sudafrica a parte.

Nella Repubblica democratica del Congo (1.242 casi, 50 morti) in un territorio grande otto volte l’Italia un solo laboratorio nella capitale Kinshasa conduce 100 test al giorno per una popolazione di 80 milioni di persone. «I contagi sono pochi ma è il basso numero di test a renderli tali», conferma dalla regione del Sud Kivu David Walubila Mwinyi di Msf, secondo cui la «disinformazione» e la «comunicazione ufficiale poco chiara» rendono difficile «discernere la verità» nel corso di questa pandemia. Numeri bassissimi sui test anche in Nigeria (4.971 contagi, 164 morti): appena 30mila tamponi su 200 milioni di abitanti, a fronte di un Sudafrica che ne ha effettuati 400mila, mostrando la prontezza del suo sistema sanitario. Il dato sudafricano è venti volte quello di un Paese come la Costa d’Avorio (1.912 casi, 24 morti), sette volte quello dell’Uganda (139 casi, 0 morti), che ormai testa quasi solo i camionisti di passaggio, spesso stranieri, tanto che da due settimane non è segnalato neanche un caso tra i residenti. D’altronde l’anno prossimo qui si vota e «l’eterno» Museveni, al potere da 34 anni, ha buon gioco a vietare, con la scusa del virus, gli assembramenti dell’opposizione e a mostrarsi, anche con video grotteschi, come colui che sta battendo l’epidemia. In Uganda la «sua» verità è ancora quella di un Paese intero.