Libia. Tutte le tappe della crisi dalla caduta di Gheddafi
Fayez al-Serraj, premier del governo di accordo nazionale, con sede a Tripoli, l'unico riconosciuto dalla comunità internazionale. È incalzato dallae milizie rivali che sostengono il generale Khalifa Haftar, capo del governo di Tobruk in Cirenaica (Ansa)
Come si è arrivati all'attuale situazione in Libia? Ecco le principali tappe della crisi, dalla caduta di Gheddafi a oggi.
La «Primavera» del 2011
Nella cornice delle rivolte anti-regime passate alla storia come “Primavere arabe”, quella libica ha assunto da subito tratti distinti, prendendo i connotati di un conflitto civile. Tra febbraio e ottobre del 2011, la “Giamahiriyya” (l’ordinamento sociale e politico) di Muammar Gheddafi fu messa all’angolo da avversari interni – i clan opposti ai Gheddafi, riunitisi in un Consiglio nazionale di transizione (Cnt) – coadiuvati da padrini stranieri. Fra i nemici del colonnello, non solo Francia e Stati Uniti, ma anche Turchia, Qatar ed Emirati Arabi Uniti. Gheddafi fu ucciso il 20 ottobre, dopo essere stato catturato nel deserto a Sud di Sirte.
L’anarchia e poi le divisioni
All’eliminazione di Gheddafi ha fatto seguito un lungo periodo di anarchia, cui le elezioni del 2014 non hanno posto fine. Al momento, la Tripolitania è in mano al Governo di accordo nazionale di Fayez al-Sarraj, sostenuto dall’Onu, mentre la Cirenaica è controllata dal generale Khalifa Haftar, braccio armato del governo di Abdullah al-Thani, in esilio a Tobruk. Fra le due zone, una miriade di milizie islamiste e di tribù pronte a schierarsi in base alle convenienze.
La missione dell’Onu «Unsmil»
Nel settembre del 2011 viene istituita la Missione delle Nazioni Unite di supporto alla Libia – Unsmil –, nata con l’obiettivo di ripristinare l’ordine pubblico promuovendo lo stato di diritto, garantire un dialogo politico globale, promuovere la riconciliazione nazionale e iniziare la fase costituente e il processo elettorale. Con tale missione, l’Onu intende anche facilitare un cammino di ripresa economica e coordinare il supporto che potrebbe giungere anche dal Fondo monetario internazionale o altri istituti globali.
Il «basso profilo» di Trump
La posizione dell’attuale inquilino della Casa Bianca, Donald Trump, sulla crisi libica è di basso profilo. Lo scorso primo dicembre, Washington ha ospitato un importante incontro diplomatico cui ha partecipato al-Sarraj. Ma Trump non ha offerto al Premier alcun appoggio concreto. A comunicati e dichiarazioni di facciata non sono seguite decisioni fattive.
«Priorità» per una Ue divisa
La Libia è tra le «urgenze» che l’Unione Europea deve affrontare, ha dichiarato ieri l’Alto rappresentante per la politica estera Federica Mogherini. La Libia è un dossier su cui «dobbiamo restare totalmente concentrati». La crisi libica e la conseguente emergenza migrazione hanno però evidenziato divisioni e incongruenze delle posizioni dei 27 Paesi membri in politica estera, rendendo gli interventi di Bruxelles totalmente inefficaci.
La Russia con l’«uomo forte»
La posizione russa è di sostegno al generale Khalifa Haftar, che ha il controllo militare della regione orientale libica, la più ricca di idrocarburi. Mosca ha rimesso in funzione in Cirenaica aeroporti e basi militari dismesse, come già progettato ai tempi di Gheddafi. Nonostante questo, la Russia cerca di affermarsi come intermediario super partes, come ben riflette il comunicato di ieri: «La Russia continua a monitorare da vicino lo sviluppo della situazione in Libia e nella capitale del Paese. Dispiace constatare che la situazione non solo non si è stabilizzata, ma tende anche a peggiorare», è il commento del ministro degli Esteri Lavrov.
In campo Egitto ed Emirati
Egitto ed Emirati Arabi Uniti sono favorevoli a una Cirenaica autonoma, guidata dal generale Haftar. I due Paesi arabi sono intervenuti direttamente nel conflitto con raid aerei mirati contro le milizie islamiste finanziate dal Qatar fin dall’estate del 2011. Il Cairo è responsabile anche dell’avvicinamento fra Bengasi e Parigi.