È una crisi politica senza possibilità di ritorno immediato quella in cui è precipitata la Libia in questi giorni. Il Paese appare profondamente dilaniato e se non risulta (ancora) diviso geograficamente, lo è dal punto di vista istituzionale e militare: ha di fatto due Parlamenti, due governi e persino due eserciti. E poi c’è il “Califfato”, o per meglio dire l’“Emirato islamico”, proclamato a fine luglio dal gruppo fondamentalista Ansar al-Sharia. Il confronto si gioca ora a suon di attacchi e contrattacchi agli aeroporti – civili e militari – e agli altri centri nevralgici del Paese. Cominciamo dalla spaccatura istituzionale. La crisi si è aperta quando il Congresso nazionale generale, il Parlamento che doveva ritenersi sciolto con le elezioni del 25 giugno, si è invece riconvocato la settimana scorsa a Tripoli e ha eletto, lunedì, un proprio premier, lanciando così una vera e propria sfida alla neo-eletta Assemblea che ha trovato sede a Tobruk, nell’Est. Diventa difficile, in tale contesto, non scorgere in orizzonte il vecchio spettro di una disintegrazione del Paese nordafricano tra Tripolitania e Cirenaica secondo precise linee tribali e geografiche. La ex Assemblea parlamentare non ha mai riconosciuto quella nuova, chiamata Camera dei Rappresentanti e dominata dalle forze liberali e federaliste. Alle elezioni del 2012 erano arrivati primi i partiti dell’Alleanza delle forze nazionali, ma secondo era risultato il partito Giustizia e Costruzione, considerato espressione locale dei Fratelli musulmani. I deputati uscenti asserivano che le elezioni del giugno scorso erano state boicottate dalla maggioranza dei libici, e da allora hanno più volte tentato di riunirsi clandestinamente. A eleggere il professore universitario Omar al-Hassi primo ministro (il quarto in pochi mesi) di un “governo di salvezza nazionale” sono stati comunque solo 70 dei 200 ex deputati. La reazione delle autorità di Tobruk non si è fatta ovviamente attendere, con l’altro capo di governo, Abdallah al-Thini, che ha definito «illegali la riunione e le decisioni» dell’Assemblea uscente. In precedenza, anche la Corte costituzionale aveva dichiarato nulle le decisioni del Cng. Nominato premier nel marzo scorso al posto di Ali Zeidan, l’allora ministro della Difesa Thini aveva rassegnato le dimissioni in aprile. La sua casa è stata data alle fiamme dopo che aveva assicurato sostegno all’ex generale Khalifa Haftar, autore di un discusso tentato golpe nel maggio scorso contro le milizie radicali e islamiche, da molti sospettato di volere emulare l’azione di forza condotta in Egitto dal generale (poi presidente) al-Sisi. Mentre si consuma la battaglia istituzionale, si assiste alla spaccatura in due delle forze armate e della galassia di milizie e gruppi armati nati durante e dopo la rivolta contro Gheddafi. Tra le forze militari che appoggiano “l’Operazione Karama” (Dignità, in arabo) lanciata dal generale Haftar (e quindi del governo di Tobruk), si contano le Forze speciali Saiqa (Folgore) stanziate in Cirenaica, e le brigate Qaqaa e Sawaiq nella Tripolitania. Queste ultime fanno capo al Consiglio militare degli Zintani, che si è fatto conoscere nel 2011 per avere conquistato il bunker del Colonnello e catturato suo figlio prediletto Saif al-Islam. Nel fronte rivale, che si fa chiamare “Operazione Fajr Libya” (l’alba della Libia, ndr) si riscontrano formazioni rivoluzionarie e islamiche tra cui i diversi “Scudi” della Tripolitania, ossia le forze locali costituite dal governo dopo la cadute del dittatore, oltre alla potente brigata “Misurata forte”, mentre in Cirenaica si contano la “Brigata martiri del 17 febbraio” (una milizia ben armata il cui nome ricorda la data d’inizio della rivolta contro Gheddafi), la Brigata Rafallah Sahati, ma anche Ansar al-Sharia, che si trovano tutti raccolti nel cosiddetto Consiglio consultivo dei rivoluzionari di Bengasi.Il Consiglio aveva minacciato all’inizio del mese di attaccare Il Cairo e gli espatriati egiziani in Libia in risposta a quello che definiscono un’indebita ingerenza militare (a fianco del generale Haftar) negli affari libici. Come per complicare ulteriormente il panorama, quasi lo stesso nome (Consiglio consultivo della città di Bengasi), è stato assunto sabato scorso da un raggruppamento politico di personalità e formazioni della città orientale che sono stati subito sconfessati. Ognuno dei due eserciti ha ovviamente un proprio comandante. Il Parlamento di Tobruk ha nominato un nuovo capo di stato maggiore nella persona del colonnello Abdul-Razzak al-Nadhuri, scelto da 88 dei 124 parlamentari presenti e promosso a generale. Il Parlamento (uscente) di Tripoli ha riconfermato l’attuale generale Abdul-Salam al-Obeidi come legittimo capo di stato maggiore. Ma la principale preoccupazione degli anti-Haftar è un’altra e riguarda la loro assimilazione a una coalizione di forze islamiche radicali per la presenza tra di loro dei salafiti di Ansar al-Sharia. Ieri il comando dell’Operazione Alba ha preso nettamente le distanze dal gruppo e dalle altre «organizzazioni estremiste». Ansar al-Sharia, in arabo i Partigiani della legge islamica, è nata ufficialmente nel giugno 2012 e opera principalmente nella Cirenaica. E, ritenendosi “delegittimata”, a questo punto si sente libera di agire in maniera autonoma: da qui, la proclamazione dell’Emirato. La formazione è ritenuta responsabile degli scontri avvenuti a Bengasi nel settembre 2012 con il conseguente incendio del consolato americano e la morte di quattro cittadini statunitensi, tra cui l’ambasciatore Christopher Stevens.