Libia. Si combatte a Tripoli, le milizie in guerra. «La Francia ha responsabilità»
Il tetto dell'hotel Al-Waddan danneggiato dai razzi (Ansa)
Si combatte a Tripoli: sotto gli occhi impotenti dl Governo di accordo nazionale di Fayez al-Sarraj (Gan) esplode in tutta la sua complessità il conflitto inter-tribale. Per l'ottavo giorno consecutivo le milizie si danno battaglia nella capitale della Libia per il controllo del territorio. Violenti scontri si registrano nell'area di Abu Salim, porta di accesso alla storica Piazza dei Martiri, situata sul mare a 6 chilometri in linea d'aria.
A scontrarsi sono la Settima Brigata, guidata dal colonnello Abdel Rahim al-Kani, che si è resa autonoma dal Governo di accordo nazionale, e la sicurezza centrale. A fronteggiarla è una serie di milizie che formano unità speciali dei ministeri dell'Interno e della Difesa: le Brigate rivoluzionarie di Tripoli, la Forza speciale di dissuasione, la Brigata Abu Selim e la Brigata Nawassi.
Negli ultimi 8 giorni ci sono stati almeno 47 morti e 129 feriti e 1.800 famiglie sono sfollate in aree più sicure.
Nella notte tra domenica e lunedì circa 400 detenuti sono evasi dopo una rivolta nel carcere di Ain Zara, in un sobborgo meridionale di Tripoli. Domenica sera 15 persone hanno perso la vita dopo che un colpo di mortaio ha centrato un campo sfollati di Al Falah.
Si tratta degli scontri più cruenti dal 2014, scoppiati a fine agosto dopo il fallimento dell'incontro del maggio scorso a Parigi tra al-Sarraj e il generale Khalifa Haftar, uomo forte della Cirenaica. Il Consiglio presidenziale libico ha dichiarato lo stato d'emergenza a Tripoli e nelle periferie della capitale. Il governo del premier Fayez al-Sarraj ha annunciato la formazione di un comitato di crisi per cercare di salvare la capitale dal baratro. L'esecutivo di Serraj, di fatto sostenuto solo dall'Onu, ha dato mandato alla milizia anti terrorismo di Misurata di entrare a Tripoli per organizzare un nuovo cessate il fuoco e porre fino alla violenza.
TUTTE LE TAPPE DELLA CRISI IN LIBIA
L'Onu: le parti si incontrino martedì alle 12
La Missione dell'Onu in Libia (Unsmil) ha tentato una pacificazione, invitando «le varie parti interessate (dal conflitto) a un incontro allargato per martedì a mezzogiorno in un luogo che verrà annunciato in seguito». L'Unsmil scrive che «sulla base delle pertinenti risoluzioni del Consiglio di sicurezza e dell'offerta del Segretario generale delle Nazioni Unite di mediare tra le varie parti libiche» si invita a «tenere un dialogo urgente sull'attuale situazione della sicurezza a Tripoli».
Il capo del Consiglio libico degli anziani per la riconciliazione, Mohamed al-Mubshir, ha detto che è stato formato un comitato d'emergenza per negoziare con le parti in lotta.
L'Unione Europea chiede una soluzione politica
«Chiediamo a tutte le parti in Libia di cessare immediatamente le ostilità. Non c'è soluzione militare per la situazione in Libia, solo politica». Così un portavoce della Commissione europea, che aggiunge: «L'escalation della violenza sta minando una situazione che è già fragile. La violenza porterà solo altra violenza a svantaggio dei libici».
«I militari italiani sono in sicurezza»
Fonti della Difesa hanno assicurato che i militari italiani stanno bene e in sicurezza e che nessun problema è riscontrato all'ospedale da campo a Misurata, mentre la ministra Elisabetta Trenta segue costantemente l'evolversi dei fatti. «Sono in contatto diretto con i nostri uomini: militari, diplomatici, addetti dell'Eni che in Libia vivono rischi portati da un intervento militare senza senso», ha detto stamani il vicepremier e ministro dell'Interno, Matteo Salvini, ai microfoni di Radio 24. A Tripoli non ci sono comunque dipendenti italiani dell'Eni, sottolinea un portavoce del gruppo: «Le attività di Eni in Libia al momento procedono regolarmente».
Resta aperta l'ambasciata italiana, che scrive in un tweet: «Continuiamo a stare al fianco dell'amato popolo libico in questa difficile congiuntura». Sabato un colpo di mortaio era esploso nei pressi dell'ambasciata.
Il governo smentisce indiscrezioni su un intervento italiano: «In relazione ad alcune notizie apparse sulla stampa odierna si smentisce categoricamente la preparazione di un intervento da parte dei corpi speciali italiani in Libia. L'Italia continua a seguire con attenzione l'evolversi della situazione sul terreno e ha già espresso pubblicamente preoccupazione nonché l'invito a cessare immediatamente le ostilità assieme a Stati Uniti, Francia e Regno Unito» si legge in una nota di Palazzo Chigi.
Lo stesso ministro dell'Interno e vicepremier Matteo Salvini, in uno scambio con i giornalisti, ha escluso "interventi militari che non risolvono nulla. L'Italia deve essere la protagonista della pacificazione in Libia. Le incursioni di altri che hanno altri interessi non devono prevalere sul bene comune che è la pace". Il riferimento è alla Francia, come ha confermato la ministra della Difesa Elisabetta Trenta su Facebook: «È innegabile che oggi il Paese si trova in questa situazione perché qualcuno, nel 2011, antepose i suoi interessi a quelli dei libici e dell'Europa stessa. Il presidente Fico ha ragione: la Francia, in questo senso, ha le sue responsabilità».
Ecco chi sono le milizie in guerra (alcune filo governative)
Nella Libia nata dopo il crollo del regime quarantennale di Muammar Gheddafi, nel 2011, e sprofondata nel caos, il controllo di sicurezza è finito nelle mani di centinaia di milizie (si stima siano almeno 300) sparse su tutto il territorio. Pesantemente armate, anche con i carri armati sottratti al disciolto esercito del 'rais', finanziate anche dall'esterno, alcune sono riconosciute e più vicine al Governo di accordo nazionale, altre sono appoggiate dall'esercito libico del generale Khalifa Haftar.
Spesso, però, entrano in conflitto tra loro per espandere la propria giurisdizione e soprattutto controllare i pozzi petroliferi. È quello che sta avvenendo dal 26 agosto nella zona sud di Tripoli, dove la Settima Brigata ha voluto prendere il controllo di nuovi territori, in nome della lotta alla corruzione delle altre milizie.
Le fazioni armate godono di sostegno anche esterno, in particolare da Egitto e Emirati Arabi (che appoggiano Haftar) e da Qatar e Turchia (che osteggiano le milizie di Tobruk).
Settima Brigata
È la milizia legata alla città di Tarhuna, 60 chilometri a sud di Tripoli, ed è guidata da quattro membri della famiglia Al-Kani. Il leader attuale è Abdel Rahim Al-Kani. Ha giocato un ruolo di rilievo nella guerra civile tra il 2014 e il 2015 prima di sparire dalla scena e riaffacciarsi con il Governo di accordo nazionale, a metà 2016, quando ha annunciato fedeltà al nuovo esecutivo ed è entrata sotto l'ala del ministero della Difesa di Tripoli. La milizia si è però scontrata in più occasioni con le filo governative Brigate rivoluzionarie di Tripoli, in particolare a Garabulli e a Ben Gascir, a est della capitale. Di recente anche ex fazioni vicine al regime di Gheddafi, che godono dell'appoggio di Haftar, si sono unite alla Settima Brigata. Negli ultimi giorni ha lanciato un'offensiva a sud di Tripoli e il governo di Fayez al-Sarraj non è riuscito ad arginarla. Il leader Abderl Rahman Al-Kani ha più volte dichiarato di voler «liberare Tripoli dalle milizie che prosciugano il denaro pubblico», riferendosi agli uomini pagati dal governo di Tripoli per la sicurezza.
Brigate Rivoluzionarie Tripoli
È la milizia guidata da Haithem Tajouri ed è la più importante dalla capitale libica (riunisce diversi gruppi del centro e dell'est di Tripoli). Ha giurato fedeltà al Governo di accordo nazionale e si occupa della sicurezza del sud e del sud-est della capitale, finendo spesso in conflitto con la Settima Brigata.
Forze di Dissuasione
È la milizia guidata da Abdul Raouf Kara e ha come base l'aeroporto di Mitiga di Tripoli. Fa capo al ministero dell'Interno del Governo di accordo nazionale e aveva preso parte ai combattimenti contro la Settima Brigata nei primi giorni dell'offensiva ancora in corso, prima di ritirarsi. La milizia, altamente addestrata, si occupa della sicurezza dell'aeroporto e del penitenziario collegato che ospita oltre 1.300 detenuti, tra cui diversi ex combattenti del Daesh.
Brigata Abu Salimè
È la milizia formata per lo più da ex carcerati, è guidata da Abdel Ghani Al Kakali e si occupa della sicurezza nella zona di Abu Salim, a Tripoli. Nell'ultimo scontro ha combattuto contro la Settima Brigata ad Abu Salim e nella strada che porta all'aeroporto.