Mondo

Intervista. «Libia, servono economia e sicurezza»

LUCA GERONICO martedì 5 aprile 2016
«Queste prime giornate sono sorprendenti: con l’eccezione dei primi scontri all’arrivo di Sarraj a Tripoli, poi non si è più sparato un colpo», commenta Claudia Gazzini. «Certo siamo ai primi giorni e nelle prossime settimane ci si può aspettare qualche scontro nelle periferie di Tripoli con i gruppi armati che non riconoscono il premier. I problemi maggiori sono fuori Tripoli dove l’esercito di Khalifa Haftar pare non voglia riconoscere l’esecutivo di unità nazionale» Le prime richieste di Sarraj sono aiuti economici e sanitari, non militari. Ma come consolidare dal basso istituzioni non ancora ben definite? In primo luogo serve una legittimità all’interno della Libia, e non solo quella internazionale del Consiglio di Sicurezza. Il primo passo è risolvere le tensioni con il parlamento di Tobruk. Diversamente ci potrebbero essere ripercussioni legali che bloccherebbero l’accesso ai fondi libici. Risanare i rapporti con Tobruk è fondamentale anche dal punto di vista simbolico perché nell’Est del Paese ancora molti considerano legittimo solo quel parlamento. Un passaggio ineliminabile. Una volta ottenuto questo riconoscimento, come costruire il consenso sociale. Si parla molto, al riguardo, della gestione dei proventi petroliferi... Ci sono due priorità per il governo: risanare la condizione economica allo sfascio e ridare sicurezza. Oggi in Libia non si riesce ad accedere ai conti in banca, manca il contante, mentre il cambio avviene solo al mercato nero che costa tre volte quello ufficiale, in un Paese che dipende, anche per i beni di consumo, per il 90% dall’estero. Questo già creerebbe un grandissimo sostegno dei cittadini. A più lungo termine Sarraj deve riavviare la produzione petrolifera, ai minimi storici, riattivando i due poli petroliferi chiave: quello del bacino di Sirte e l’oleodotto che porta il petrolio al porto di Zawiya. Una produzione di un milione di barili al giorno è il minimo per portare i conti in pari: al momento la Libia ha per il 2016 una previsione di deficit di 25 miliardi di dollari. E le priorità per la sicurezza? La Libia oggi è divisa in vari gruppi armati con diverse fonti di legittimità: sarà essenziale riuscire a farli dialogare. La chiave è il rapporto fra Sarraj e Haftar perché agli occhi di molti libici il Libian national army di Haftar è il solo vero esercito nazionale, mentre Sarraj vuole crearne uno del tutto nuovo. Lo sforzo della diplomazia è stato di evitare soluzioni militari affrettate: quale metodo usare in un contesto così complesso? Uscire da una analisi militare limitata a Tripoli. Il team dell’Onu si è concentrato sulla sicurezza nella capitale per far arrivare Sarraj. Ora si deve aumentare lo staff che lavora al comando del generale Serra – sette persone non sono sufficienti – e creare dei gruppi di lavoro con le fazioni armate dell’Est e del Sud. Liberata Tripoli, si deve aprire un dialogo nazionale ad ampio raggio. Si deve pure evitare che gruppi di comando stranieri operativi in Libia si associno con gruppi militari sono contrari al governo di unità nazionale. Si è parlato molto di forze speciali francesi a Bengasi che forniscono intelligence e logistica al Libian national army di Haftar mentre il governo francese sostiene ufficialmente Sarraj. Bisogna evitare di allearsi semplicemente con chi è presente sul campo, ma stringere alleanze coordinate con il governo nazionale. Ci sono altri casi simili? L’Egitto e gli Emirati Arabi Uniti sono presenti sul tereno con modalità simili. Non so di altri Paesi europei che appoggiano forze al di fuori del governo di unità. Dopo la campagna del 2011 con i bombardamenti aerei si sta affermando un nuovo modello di intervento nella regione da parte della comunità internazionale? Bisognerà aspettare l’evoluzione delle prossime settimane. Comunque noi auspichiamo un intervento straniero limitato ad azioni mirate, di sostegno all’evoluzione del quadro politico interno. Certo esiste una forte tensione in Libia, in molti ancora percepiscono il governo Sarraj come una ingerenza straniera. Grande frammentazione e complessità. Con in più il Daesh da contrastare. Con quale strategia?  Non esiste un’unica strategia: a Sirte controlla da solo la città: qui si deve creare una coalizione di forze anti-Daesh. A Bengasi opera assieme ad altri gruppi islamisti: questo chiede di spezzare la coalizione. A Derna, poi, Daesh è combattuto dagli stessi gruppi che a Bengasi lo combattono. Qualsiasi strategia richiede prima una corretta analisi di come Daesh vive ed esiste nelle diverse realtà.