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Medio Oriente. Il Libano nel terrore: sarà la terza guerra con Israele?

Camille Eid martedì 24 settembre 2024

Centinaia di famiglie in fuga dalle zone bombardate nel sud del Libano

La terza volta. Non è ancora chiaro se la si possa qualificare ufficialmente come guerra; non si sa come si evolverà, quanto durerà; se ci sarà un’invasione di terra. Quel che è certo, la popolazione libanese è di nuovo dentro un incubo che conosce fin troppo bene. Ed è altrettanto sicuro che le regole d'ingaggio che hanno finora governato gli scontri “a bassa intensità” lungo il confine sono saltate. L’ultimo bilancio fornito dal ministero della Salute libanese parla di 325 vittime – e 1.200 feriti distribuiti in 27 ospedali –, vale a dire un terzo di quelle cadute in un anno intero (352 giorni per l’esattezza) nella guerra di logoramento – o di sostegno a Gaza – sul fronte libanese. Ai raid e bombardamenti di ieri si è aggiunto una fuga di massa da diverse località del Sud verso zone ritenute più sicure. Alcuni giornali libanesi hanno riferito di membri di Hezbollah che hanno girato di casa in casa per invitare la gente ad allontanarsi dalle zone a rischio.

Una donna di Toul, vicino a Nabatieh, ha raccontato di essere uscita di corsa in pantofole, portando via suo figlio di 11 anni. Ad aumentare la confusione, i messaggi di testo e vocali ricevuti ieri mattina da molti abitanti del Sud del Libano e della Beqaa con l’avvertimento a stare lontani da «edifici residenziali usati da Hezbollah». «Se vi trovate in una località utilizzata da Hezbollah – diceva l’audio – lasciatela immediatamente per la vostra sicurezza». Secondo il presidente di Ogero, l’ente che gestisce le telecomunicazioni, il Libano ha ricevuto più di 80mila chiamate del genere. Questi messaggi, ha precisato Imad Kreidieh, «rientrano nella guerra psicologica e mirano a seminare il caos». «Il sistema, ha aggiunto, non li riconosce come provenienti da Israele perché sono inviati tramite operatori internazionali e generate come provenienti da un altro Paese». 

Il governo di Beirut ha attivato subito il piano di emergenza approvato pochi giorni fa. Il ministro dell'Istruzione Abbas Halabi ha ordinato la chiusura per due giorni delle scuole pubbliche e private situate nel Sud e nell'Est del Libano, così come nella periferia meridionale della capitale. Il ministero della Salute libanese ha invece chiesto a tutti gli ospedali dei governatorati del Sud, di Nabatiye e di Baalbek-Hermel di sospendere tutti gli interventi chirurgici non urgenti per curare i feriti. Il premier Najib Mikati ha da parte sua denunciato la «vera e propria guerra di sterminio» condotta da Israele in Libano attraverso «un piano volto a distruggere i villaggi e le città libanesi», e ha quindi esortato «l'Onu e i Paesi influenti a fare pressione su Israele per fermare l'aggressione». Mikati ha convocato per oggi una riunione di governo (in carica solo per gli affari correnti dal maggio 2022). Si incontrerà prima sia con il coordinatore umanitario dell'Onu per il Libano, Omran Reza, sia con l'emissario speciale del presidente francese, Jean-Yves Le Drian, giunto ieri a Beirut.

Il Libano e Israele sono formalmente in stato di “armistizio” dal 1949. Un primo massiccio intervento, detto “Operazione Litani”, nel 1978, vide un'invasione di terra volta a respingere i fedayin palestinesi oltre l'omonimo fiume e la creazione di una “fascia di sicurezza” lungo il confine con Israele. Nel 1982 si è assistito a quella che viene considerata la “Prima guerra del Libano”: una massiccia invasione del Paese dei cedri (Operazione “Pace in Galilea” guidata da Ariel Sharon) che ha portato all’evacuazione da Beirut dell'Olp di Yasser Arafat. La “Seconda guerra del Libano” ha invece opposto Israele alla milizia di Hezbollah nell’estate 2006. Il conflitto, durato 33 giorni, ha provocato non solo la morte di circa 1.200 libanesi, in maggioranza civili, ma anche la sistematica distruzione delle infrastrutture del Paese. La guerra si è conclusa con la decisione dell'Onu di inviare nel Sud del Libano una forza di caschi blu (Unifil bis) cui partecipa ancora l’Italia con un contingente di circa mille soldati.