Crisi. Il Libano è in ginocchio e l'ultima ondata di Covid sarà una bomba a orologeria
Manifestanti sfidano la polizia nel centro di Beirut: nella capitale libanese le proteste contro la crisi economica e l’inazione governativa sono ormai quotidiane
Benvenuti all’inferno. L’aeroporto di Beirut non espone ovviamente questo cartello, ma i visitatori – principalmente famiglie libanesi residenti in Occidente o nei Paesi del Golfo – sono consci di approdare in un Paese in ginocchio. Ancor più per l’ultima ondata di Covid che sta dando la botta finale a un’economia già devastata. In fondo, la loro decisione di passare le ferie estive in Libano è una forma di solidarietà con i propri familiari e un piccolo sostegno all’economia del Paese, a corto di liquidità in valuta pregiata. Molti di loro hanno rinunciato a qualche indumento per lasciare spazio nelle valigie a scorte di farmaci, diventati merce rara in Libano.
Il ministero della Sanità ha aperto un’inchiesta dopo la tragica morte, sabato scorso in un ospedale di provincia, di una bimba di dieci mesi, pare per la mancanza di un antipiretico. «Le richieste di procurare farmaci dall’Italia – dice Lorenzo Colonna-Preti, che lavora da alcuni mesi in Libano come tecnico della Cooperazione Italiana – mi arrivano dagli amici e colleghi libanesi ogni volta che devo tornare a casa».
Persino i farmaci comuni – precisa – «sono diventati introvabili, oltre che fuori dalla portata economica dei più: aspirine, antidiarroici, farmaci contro le infezioni intestinali, paracetamolo contro febbre e dolori, fino agli antibiotici prescritti contro il Covid, come l’azitromicina, senza parlare dei medicinali di base per malati cronici», come i diabetici e i cardiopatici. Alcuni raccomandano addirittura di tenere i farmaci nel bagaglio a mano per evitare che vengano “soffiati” all’arrivo dai doganieri locali. La settimana scorsa, le forniture limitate hanno spinto il sindacato delle farmacie a proclamare uno sciopero di protesta contro la mancanza di sostegno da parte del governo, che ha ridotto drasticamente le importazioni sussidiate.
Il declino di quello che una volta era chiamato «la Svizzera del Medio Oriente» – da quasi un anno senza un governo mentre ieri il premier incaricato Saad Hariri ha rinunciato –, si percepisce di giorno in giorno. Anzi, l’inaudito crollo economico del Paese dei cedri è stato già inserito dalla Banca mondiale tra i “top ten” delle peggiori crisi umanitarie al mondo dal 1850.
Con la pandemia Covid-19, il Paese ha subito il fatidico colpo di grazia. Gli ospedali che sono riusciti, tra mille difficoltà, a reggere le ondate più letali, temono ora di dover affrontare senza mezzi le varianti del virus. L’ultimo bollettino, diffuso indica 517 nuovi casi positivi, di cui 35 provenienti dall’estero. Il totale dei casi registrati nel Paese dal febbraio 2020 sale così a oltre 548mila, con quasi 7.900 decessi. Attualmente sono 109 i pazienti ricoverati, di cui 57 in terapia intensiva.
Pochi giorni fa, inoltre, la Pubblica sicurezza libanese ha annunciato nuove misure di controllo ai valichi frontalieri con la Siria. Con la penuria di carburante, il rischio più temuto da tutti è il blackout totale. Venerdì scorso, le due principali centrali elettriche del Paese, quelle di Deir Ammar e Zahrani, che insieme assicuravano circa il 40% dell’energia, sono state spente.
Con un drastico effetto domino sugli altri settori, dall’alimentazione al rifornimento dell’acqua. «La corrente fornita dallo Stato – racconta Georges Khallouf, un libero professionista che risiede nel quartiere di Sinn el-Fil a Beirut – copre ormai un’ora sola al giorno. Per altre quindici ore il complesso in cui vivo deve ricorrere ai generatori con un aumento dei costi condominiali di tre volte nelle ultime due settimane, seguendo l’andamento del prezzo del gasolio. Alla fine rimaniamo scoperti per 8 ore su 24».
Di questo passo diventa inevitabile l’esplosione di una rivolta generale. L’ora X corrisponde al momento in cui saranno tolti del tutto i sussidi governativi. Per evitare questo momento, e in mancanza di fondi statali, il governo uscente sta attingendo al fondo obbligatorio depositato dagli istituti di credito presso la Banca Centrale, in altre parole ai soldi dei libanesi. E la «bomba a orologeria Libano sembra pronta a esplodere» come affermano in molti, salvo tempestivi interventi internazionali, tra le mani del nuovo governo che si dovrà formare.