Dopo 35 giorni crolla il muro di gomma eretto dalle autorità egiziane attorno al sequestro degli eritrei ed emergono nuove, importanti prove sull’inferno del Sinai. La stessa polizia egiziana e fonti a Rafah vicine agli stessi trafficanti, i clan beduini Rashaida, hanno confermato all’Ansa e ad altre agenzie occidentali la presenza dei 300 ostaggi. Inoltre gli arresti effettuati nel deserto nei giorni scorsi dalle autorità egiziane riguardano ostaggi rilasciati prima di Natale dai rapitori dopo il pagamento del riscatto. Appurata anche l’enorme entità del traffico. Ma i banditi restano impuniti. Ieri è stato chiarito il numero delle persone catturate dalla polizia. Si tratta di 27 migranti africani, fermati nel deserto in due riprese. Il primo gruppo, composto da otto eritrei e sette etiopi, è stato arrestato tre giorni fa, mentre il secondo, di sette eritrei, tre sudanesi e due etiopi, è stato fermato lunedì alla frontiera con Israele. Confermato che i 300 eritrei sono ancora in mano ai banditi. Circa 80 provengono dalla Libia, dove alcuni erano stati respinti nel Mediterraneo dalle nostre motovedette. Gli altri arrivano dall’Eritrea attraverso il Sudan. Sono stati tutti venduti da una banda di trafficanti senza scrupoli all’altra, come abbiamo appreso in questo mese ascoltando le testimonianze di ostaggi rilasciati, dei parenti e della suora comboniana Azezet Kidane, che ha curato i superstiti giunti in Israele. I predoni hanno inoltre imprigionato 900 migranti di altre nazionalità – sudanesi, etiopi, somali – i quali hanno pagato le somme richieste e aspettano di poter tentare l’ingresso in Israele. In tutto sono coinvolte 1200 persone, è la conferma che nel Sinai è in corso da tempo un giro d’affari criminale di svariati milioni di dollari sulla pelle dei disperati del pianeta. Durante la detenzione in baracche e container interrati hanno tutti subito torture e violenze, le donne sono state abusate. Un trattamento disumano condito da minacce di morte e di espianto di reni. Per contattare l’esterno e raccontare l’orrore, ai rapiti è stato lasciato il telefono cellulare per accelerare i pagamenti del riscatto via Western Union a emissari della banda al Cairo e a Gerusalemme. Ad eritrei ed etiopi è toccato il trattamento peggiore, come confermano le testimonianze raccolte ieri, come vendetta per l’uccisione di un carceriere durante un tentativo di fuga di 25 di loro, conclusosi tragicamente con l’assassinio di sei eritrei. Ribadito infine che almeno otto ostaggi sarebbero stati uccisi dai trafficanti, una decina di uomini bene armati che cambia spesso i luoghi di detenzione. La polizia egiziana continua comunque a non intervenire per catturare i mercanti di schiavi, anzi. L’ultima volta che intervenne, ad agosto, aprì il fuoco su un gruppo di eritrei imprigionati a Rafah e lasciò impuniti i carnefici. Stavolta ha ricevuto l’ordine di non sparare e limitarsi ad arrestare i migranti rilasciati per immigrazione clandestina. Alle vittime il governo del Cairo, delle quali fino a ieri ha negato perfino la presenza nella zona al confine con Israele, lascia la vita, ma riserva una beffa atroce. I profughi arrestati vengono consegnati alle rispettive ambasciate dei paesi di provenienza per il rimpatrio immediato, che può voler dire galera e morte. Le forze egiziane sostengono di non poter intervenire nel Sinai riparandosi dietro il Trattato di pace con Israele che impedisce di introdurre armi pesanti e blindati nella zona di frontiera. I Rashaida disporrebbero invece di armi sofisticate, acquistate dai sudanesi come contropartita per il traffico di esseri umani. La notizia degli arresti ha intanto allarmato la diaspora eritrea, nella quale proseguono le collette per pagare i riscatti, che i predoni pretendono vengano rateizzati per non venire identificati. «Lunedì ho sentito mio fratello dal Sinai – dichiara H., rifugiato eritreo che vive in Svizzera – e non mi ha detto nulla. Ho sentito anche altri parenti, noi continuiamo a pagare e a sperare». Ieri il sacerdote eritreo Mosè Zerai ha contattato gli ostaggi. «Non sanno nulla, mi chiedevano di fare presto a pagare per liberarli. Chiediamo al governo egiziano di consegnare i profughi nelle mani dell’Acnur e non alle ambasciate che li potrebbero rimpatriare. Ma questo potrà accadere solo se l’Europa dimostra fattivamente di essere disposta a dare asilo a queste persone. Mi preoccupa la sorte di chi non può pagare, un gruppo di almeno 15 persone che comprende sei donne, tre in stato di gravidanza ». L’odissea nel deserto, insomma, è tutt’altro che finita.