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Teheran. Pugno di ferro in Iran per «stendere un velo» su Mahsa

Lucia Capuzzi mercoledì 20 settembre 2023

Corteo per Mahsa Amini a Washington

Il Majilis – il Parlamento iraniano – stende, letteralmente, un velo sul malcontento crescente delle iraniane e degli iraniani. O, almeno, cerca di farlo. Dopo averne discusso per mesi in forma riservata, ieri, con 152 voti favorevoli, 34 no e sette astensioni, l’Assemblea ha approvato – in via “sperimentale”, per tre anni – la legge per “la tutela della castità e dell’hijab”. La nuova normativa – ancora in attesa della scontata ratifica del Consiglio dei guardiani – inasprisce drasticamente pene e sanzioni nei confronti del numero crescente di donne che non indossa il velo obbligatorio. Attualmente, la multa arriva a un massimo di quasi 12 dollari e, nei casi più gravi, si rischiano tra i dieci giorni e i due mesi di carcere. Nel testo appena passato si parte da una sanzione minima di 118 dollari fino a un massimo di dieci anni di reclusione «per quanti operano in combutta con governi stranieri» o «impieghino i social media per deridere l’hijab». Le figure pubbliche vanno incontro al divieto di lavorare fino a 15 anni al sequestro di un decimo dei beni mentre agli imprenditori, le cui dipendenti rifiutino il velo, può essere vietato di viaggiare all’estero. La scelta dei tempi del varo della nuova misura, ovviamente, non è casuale. Cinque giorni dopo l’anniversario della morte in custodia della “mal velata” Mahsa Amini, il Paese è in fermento. Gli arresti preventivi e le minacce hanno evitato l’esplodere di un’altra ondata di proteste. Il grido “Donna, vita, libertà”, però, aleggia nell’aria. La strategia della Guida suprema Ali Khamanei e del presidente ultra-conservatore Ebrahim Raisi è quella del pugno di ferro. Almeno sulla carta. Da luglio sono tornate per strada le pattuglie della “Gasht-e-Ershad”, la polizia morale. Si contano oltre diecimila squadre in azione in tutto il Paese. Finora, però, hanno puntato su forme di dissuasione “a bassa intensità”. Molte donne senza hijab sono state insultate per strada e, a volte, aggredite, le studentesse sono state espulse dalle università e dai luoghi pubblici. La settimana scorsa, un parco di divertimenti di Teheran è stato chiuso per le troppe teste femminili scoperte. Finora, però, non ci sono stati arresti di massa. La nuova legge cambierà la situazione? E, soprattutto, quest’ultima un’effettiva espressione di forza o il segno di un distacco totale degli ayatollah da una realtà che non riescono più a comprendere né a dominare? Finiti i grandi cortei dello scorso anno, la rivoluzione quotidiana delle “teste scoperte” si amplia fino a contagiare i piccoli centri e le province remote, con il sostegno di padri, fratelli e mariti. Perché non si tratta solo di capelli.