Rohingya. Le Nazioni Unite: «In Myanmar si supereranno i mille morti nelle violenze»
Il bilancio delle violenze nello Stato di Rakhine, in Myanmar, per la maggior parte che coinvolgono la minoranza Rohingya, potrebbe superare i 1.000 morti: lo ha indicato oggi il relatore speciale delle Nazioni unite per i diritti umani in Myanmar, Yanghee Lee. "Probabilmente circa un migliaio o più di persone sono già morte", ha precisato. "Le vittime potrebbero essere da entrambe le parti, ma sarebbero soprattutto della popolazione Rohingya". Si tratta in prevalenza di combattenti, mentre le vittime civili sono legate soprattutto all'esodo nel vicino Bangladesh.
Sono infatti ormai più di 250mila profughi musulmani Rohingya, entrati in Bangladesh per sfuggire alle violenze in territorio birmano. L’hanno comunicato le Nazioni Unite. Nelle ultime due settimane soltanto si sono rifugiate nel Paese vicino 164mila persone, per lo più Rohingya, saturando così la capacità di accoglienza di campi profughi già in piena crisi umanitaria. Molti sono morti cercando di scappare dallo Stato Rakhine, dove sono in corso i combattimenti, mentre testimoni dicono che interi villaggi sono stati incendiati da quando militanti Rohingya hanno lanciato una serie di attacchi coordinati il 25 agosto, che hanno portato a una repressione da parte delle forze birmane. La polizia in Bangladesh, inoltre, ha ripescato ieri i corpi di 17 persone, molti i bambini, annegati quando tre imbarcazioni piene di profughi sono affondate nel fiume Naf che scorre lungo il confine.
Ma fonti della chiesa cattolica mettono anche in guardia sull'utilizzo, spesso strtumentale, delle informazioni. “La situazione dei Rohingya oggi è molto difficile da valutare . Non vi sono notizie certe e quelle che circolano sono contrastanti, a seconda che vengano dal governo, dai Rohingya o da altre fonti. Quello che possiamo dire è che auspichiamo fortemente una soluzione pacifica, che tenga conto del rispetto della dignità e dei diritti umani di tutti”, ha detto all’Agenzia Fides il vescovo Alexander Pyone Cho, che guida la diocesi di Pyay, nell’Ovest del Myanmar. Pyay è la diocesi che copre il territorio dello Stato di Rakhine, nell'Ovest del paese, dove è stanziata la popolazione della minoranze etnica dei Rohingya, di religione musulmana.
Mentre continuano a circolare notizie di violenze e bombardamenti sui civili, il vescovo nota che “la situazione si è complicata ed è peggiorata per la presenza di estremisti che hanno alimentato il conflitto negli ultimi anni e che hanno generato sempre maggiore violenza”. I Rohingya – racconta ancora monsignor Pyone Cho – sono una popolazione pacifica e cordiale. Arrivarono in Birmania dal Bangladesh nell'era britannica e hanno convissuto per decenni con la popolazione locale dei Rakhine senza problemi. Quattro ani fa sono iniziati i primi disordini, dopo il presunto episodio di stupro compiuto da un Rohingya su un ragazza Rakhine. La tensione è salita rapidamente anche per l’intervento di gruppi estremisti buddisti e il conflitto si è trasformato anche in un carattere religioso. L'esercito è dovuto intervenire per controllare la situazione. Purtroppo la divisione l’odio hanno continuato a covare ed è nato perfino un gruppo amato dei Rohingya che ha compiuto attacchi”. Il vescovo Alexander Pyone Cho conclude: “Ora c’è grande difficoltà per le condizioni dei profughi, per la loro vita. L'area è totalmente chiusa e nessuno può verificare esattamente cosa stia accadendo. In quella zona non vi sono né cristiani né cattolici e come Chiesa non possiamo operare in alcun modo. Possiamo solo pregare e chiedere il rispetto della dignità umana e la costruzione della pace. E’ quanto chiediamo anche a Papa Francesco che con gioia accoglieremo alla fine di novembre in Myanmar”.