Analisi. Dal 2015 all'attacco russo, come si è arrivati al conflitto in Ucraina
Il Cremlino gioca surrettiziamente. Il 16 febbraio annuncia il ritiro parziale di uomini e mezzi dalla Crimea. Ma la Nato che pattuglia quotidianamente lo spazio aereo confinante alla Bielorussia e all’est ucraino smentisce categoricamente i segnali di de-escalation sbandierati da Mosca, affermando anzi che la Russia ha rafforzato il dispositivo di accerchiamento ucraino con 150mila uomini
Negli ultimi mesi la crisi ucraina ha conosciuto un’accelerazione in parte prevista da molti esperti. Peggio: il conflitto nell’est del paese fra regolari ucraini e separatisti filorussi è rimasto sempre attivo.
LE FASI DELLA CRISI TRA RUSSIA E UCRAINA
Gli accordi di Minsk 2 del 2015 sono stati violati quasi quotidianamente. La guerra di movimento, in quel primo periodo, ha ceduto il posto a una guerra di posizione, tradottasi nella costruzione di trincee e nella posa di campi minati, battuti entrambi dai colpi dell’artiglieria, da ambedue i lati della linea del cessate il fuoco.
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LA GUERRA TUTT'ALTRO CHE CONGELATA E LA CONTABILITÀ DELLE ARMI
L’Osce, che ha tuttora una missione di sorveglianza nell’area, ha sempre tenuto una contabilità del numero di esplosioni di proiettili di obici e di mortai che danno una buona idea dell’andamento dei combattimenti. Nell’agosto 2021, gli osservatori ne registravano 1761, contro 132 nell’agosto 2020, 2.115 nello stesso mese del 2019, 4.689 nell’agosto 2018 e ben 12.870 nel febbraio dello stesso anno. Prima del 2014 e della conquista russa della Crimea, le forze armate ucraine potevano contare su grossi volumi di munizioni. Dopo di allora gli stock si sono fusi come neve al sole, soprattutto per una serie di attacchi mai rivendicati.
Fra il 2015 e l’aprile 2021, 18 esplosioni, opera di sabotatori, probabilmente delle forze speciali russe, hanno investito e distrutto interi depositi. Anche le esplosioni del 2014 in Repubblica ceca hanno eliminato un enorme deposito di munizioni utile all’Ucraina. L’industriale bulgaro che organizzava il trasferimento e la cui azienda è una delle due uniche dell’Ue che continua a produrre proiettili da 152 mm e da 120 mm adatti ai tubi di artiglieria sovietica in uso ai regolari ucraini è stato avvelenato con un agente chimico della famiglia Novichok. Sopravvissuto, l’uomo ha ridotto le attività. Al fianco della guerra di posizione, c’è pertanto sempre stata un’azione simultanea nella profondità del territorio ucraino, che ha avuto conseguenze pesanti sulle capacità militari di Kiev.
Insieme alla fase terrestre, ci sono state perfino operazioni di interdizione marittima, orchestrate dai russi e culminate nello scontro dello stretto di Kerch del novembre 2018. Lo spazio aereo ucraino è stato spesso insidiato da interdizioni di cacciabombardieri dell’Armata rossa. La guerra è stata tutto tranne che ‘congelata’.
A NOVEMBRE 2021 90MILA SOLDATI ALLA FRONTIERA UCRAINA. PUTIN PARLA DI ESERCITAZIONI
Da novembre 2021 si intuiva che la crisi potesse degenerare da un momento all’altro. Il 10, Washington chiese spiegazioni urgenti a Mosca sul dispiegamento ‘inconsueto’ di 90mila uomini alla frontiera ucraina. Il Cremlino rispose che si trattava di esercitazioni abituali invernali nei distretti occidentali. Il 7 dicembre, durante un vertice virtuale con Vladimir Putin, Joe Biden evocò per la prima volta sanzioni economiche in caso di invasione dell’Ucraina. Quel mese, il Cremlino propose due progetti di trattati in cui chiedeva garanzie scritte: divieto per l’ingresso dell’Ucraina nella Nato e ritiro delle forze alleate dai paesi dell’ex impero sovietico. Il 18, dopo negoziati infruttuosi a Ginevra e a Bruxelles, Mosca inviava 30mila uomini in Bielorussi, con il pretesto di esercitazioni congiunte, mai tenute prima in quel periodo. Cominciava l’accerchiamento dell’Ucraina, da nord, est e sud. In Transnistria, confinante con l’Ucraina veniva rafforzato il dispositivo della 41esima armata russa, che presidia la regione separatista moldava.
IL 26 DICEMBRE GLI USA RESPINGONO LE BOZZE DI TRATTATO PROPOSTE DALLA RUSSIA
Al Pentagono cominciavano ad allarmarsi. Veniva sbloccato un nuovo aiuto militare in favore dell’Ucraina e i paesi baltici erano autorizzati a trasferire a Kiev armi statunitensi. Anche la Nato iniziava a gesticolare, con l’invio di navi e aerei da guerra a proteggere i paesi dell’Europa orientale, membri dell’Alleanza. Ma i segnali sono timidi, e non impressionano i russi. Nessun occidentale combatterà mai per Kiev, non protetta dalle clausole di mutua difesa del Patto atlantico. Washington allerta appena 8.500 uomini. Sono fasi convulse, perché Mosca insoddisfatta del temporeggiamento occidentale quanto alle garanzie scritte, fa affluire nuovi reparti alla frontiera ucraina e in Crimea. Il 26 dicembre è una data chiave, perché quel giorno Washington respinge le bozze di trattato proposte da Mosca. Il malinteso è totale. Emissari russi e ucraini incontrano in quel periodo i mediatori francese e tedesco, ma a Parigi il vertice per rilanciare il processo di pace nel Donbass si rivela un totale fallimento.
Pechino, che non ha mai riconosciuto l’annessione russa della Crimea, fa sapere che ritiene ‘ragionevoli’ le istanze e le preoccupazioni di sicurezza di Mosca. L’asse sino-russo sfocia in un’alleanza strategica di fatto.
SOLUZIONE DI COMPROMESSO? A FEBBRAIO IL BLUFF DI PUTIN
Il 2 febbraio, Washington invia altri 3mila uomini in Europa orientale. Forse bluffando, il 7 febbraio Putin si dichiara pronto a una soluzione di compromesso, dopo un colloquio con il presidente francese Macron. Pochi giorni dopo, iniziano le manovre militari in Bielorussia. Da Bruxelles si parla ormai apertamente del rischio reale di un nuovo conflitto armato in Europa e comincia l’evacuazione dei cittadini europei dall’Ucraina. O, meglio, i paesi occidentali invitano i loro cittadini a lasciare il paese. Fino ad allora prudente, il cancelliere tedesco Scholz ammonisce che le sanzioni economiche e tecnologiche occidentali sarebbero immediate in caso di invasione russa. Gli americani spostano l’ambasciata da Kiev a Leopoli, nell’ovest. Il Cremlino gioca surrettiziamente. Il 16 annuncia il ritiro parziale di uomini e mezzi dalla Crimea. Ma la Nato che pattuglia quotidianamente lo spazio aereo confinante alla Bielorussia e all’est ucraino smentisce categoricamente i segnali di de-escalation sbandierati da Mosca, affermando anzi che la Russia ha rafforzato il dispositivo di accerchiamento ucraino con 150mila uomini. Gli scambi di artiglieria pesante lungo la linea del cessate il fuoco si intensificano. Biden allerta sull’imminenza dell’invasione russa. Le informazioni di intelligence sono chiare. Satelliti e aerei spia hanno ormai radiografato il potenziale russo intorno all’Ucraina e nelle repubbliche separatiste. Ci sono almeno 120 gruppi tattici interarma e circa 500 jet da guerra, pronti all’attacco. A titolo di paragone, le forze armate italiane potrebbero metter su meno di 10 gruppi tattici completi. Con quei mezzi, i russi possono lanciare simultaneamente fino a 8 attacchi rapidissimi, ognuno dei quali sferrato su una direttrice di 100 km e scendendo in profondità per 150-200 km, conquistabili nel giro di una settimana. Il 18 febbraio ci sono gravi avvisaglie: i separatisti ordinano l’evacuazione dei civili verso la Russia. Il segretario di Stato Usa Anthony Blinken denuncia manovre sporche dei russi per inscenare delle provocazioni utili a giustificare un attacco. In una mossa disperata, il 19, il presidente ucraino Zelensky propone un incontro a Putin, che rifiuta e mostra i muscoli, sparando tutti i nuovi armamenti in esercitazioni strategiche pluriarma.
IL VERTICE TRA I PRESIDENTI PUTIN E BIDEN E LA SVOLTA DI PACE CHE NON C'E' STATA
Due giorni dopo, Macron si vede con Putin. Entusiasta, l’Eliseo parla di un incontro fruttuoso. Nel comunicato ufficiale si parla di un prossimo vertice fra i presidenti russo e statunitense. Ma il Cremlino nega subito, giudicando l’annuncio prematuro. Putin dichiara anzi che il processo di pace per l’est ucraino non ha più nessuna prospettiva. In un discorso televisivo, il 21 febbraio, annuncia di riconoscere l’indipendenza delle ‘Repubbliche separatiste’ di Donetsk e Lugansk. L’Ue reagisce con sanzioni timidissime. In quelle ore, il capo del Cremlino è autorizzato dal Parlamento russo a inviare le truppe nei territori controllati dai separatisi a Donetsk e Lugansk.
Poco dopo il nulla osta, Putin precisa che il dispiegamento non sarà ‘imminente’ e che dipenderà dalla ‘situazione sul terreno’. Mente, perché aggiunge di essere favorevole a una ‘smilitarizzazione’ dell’Ucraina, invitando Kiev a optare ‘per la neutralità’ e a rinunciare alle aspirazioni atlantiste. Nel rapporto quotidiano dell’Osce, intanto, il 22 febbraio si certificano 1710 violazioni del cessate il fuoco nel Donbass, proprio mentre è in corso il primo afflusso di ‘peacekeepers’ russi nelle repubbliche separatiste. E’ il preludio dell’offensiva su larga scala, scattata la notte scorsa.