Caso Facebook. Le colpe del social e le incoerenze di ognuno di noi
« È il momento: #cancellafacebook». Il tweet di Brian Acton sintetizza ciò che hanno pensato tanti in queste ore. Basta, è il momento di uscire da Facebook. Di dare un colpo (mortale?) allo strapotere del gigante social che usa (peraltro con il nostro colpevole accordo) i dati delle persone. Come tutti i potenti, Facebook non ispira simpatia. Anzi, l’idea che il suo patron Zuckerberg abbia perso in 48 ore 7 miliardi di dollari (anche se ieri a Wall Street il titolo è parzialmente risalito), a molti procura un sottile piacere.
Della serie: ben gli sta. Così impara a spiarmi. Non solo: Zuckerberg deve andare davanti all’Europa e ai Governi che l’hanno convocato a chiedere scusa (ieri peraltro ha cominciato a farlo). E appena possibile lui, Google e gli altri padroni del digitale devono pagare. La storia è sempre la solita: li abbiamo fatti diventare dei giganti perché ci faceva comodo o semplicemente perché eravamo distratti, abbiano dato l’assenso (senza leggere le clausole) a qualunque servizio digitale e adesso vogliamo giustizia. Anzi, vendetta. Nessuno, ripetiamo in queste ore, deve manipolare le elezioni. Nessuno deve manipolare le nostre menti. Come se non esistessero i bias cognitivi (cioè i bug del nostro cervello che, a volte, ci fanno leggere in maniera distorta la realtà). Come se i manipolatori non fossero quasi antichi come il mondo. Però l’idea che possa esistere 'una macchina', 'un algoritmo' o una 'diavoleria tecnologica' a farlo ci manda in tilt.
O meglio: manda in tilt i media, il mondo della politica (lo stesso che in parte ha usato bot e social per cercare di orientare il voto) e i più sensibili. E gli altri? Beh, per loro la storia è un po’ diversa. Mentre una parte del mondo discute in questi giorni di Facebook e dello scandalo Cambridge Analytica il quadruplo delle persone (stando ai numeri registrati sui social) si è scagliata contro Amazon per avere annunciato che raddoppierà (quasi) la quota del servizio Amazon Prime. Sarà impopolare dirlo, ma alla fine la nostra indignazione social più che sui principi (la Rete libera, il rispetto della privacy eccetera) si scontra con i nostri bisogni primari e il nostro portafoglio.
Prendete Brian Acton. L’uomo che ha lanciato la campagna #cancellafacebook non solo l’ha fatto su Twitter (cioè su una piattaforma che usa i nostri dati quasi come Facebook), ma è lo stesso che nel 2014 ha venduto WhatsApp (col suo socio) proprio a Facebook per 14 miliardi di dollari. Intendiamoci, Facebook ha gravissime colpe. E nessuno intende difenderlo. Ma attaccarlo dopo essersi fatti pagare miliardi di dollari rende la battaglia di Acton molto poco credibile. Volete uscire da Facebook? Fatelo. Ma sappiate che l’operazione è tutt’altro che semplice. Sappiate anche che se credete di fuggire da Facebook andando a iscrivervi in un altro social (magari Vero, così di moda negli ultimi giorni), cadrete dalla padella alla brace. Se volete fuggire, fatelo davvero. Ma non smettete di farvi una domanda: cosa sarà di tutti i miei dati che lascio ogni giorno nella 'vita reale' con le tracce elettroniche, compilando contratti o per la burocrazia? E ancora: cosa sarà di tutti i dati che ho lasciato nel frattempo ad Amazon?