Ucraina. Le bombe russe «fermano» la lotta ai tumori
Allo scoppio di una guerra, il normale corso dell’esistenza subisce sempre una battuta d’arresto, e traiettorie di vita consolidate vengono stravolte, paralizzate. Il decorso di una malattia invece non si ferma, procede, anzi galoppa se l’accesso alle cure viene ostacolato. Così vittime invisibili vanno ad aggiungersi a coloro che vediamo cadere sotto i colpi dei combattimenti. Con una popolazione di 44 milioni di persone, l’Ucraina registra circa 162.500 nuovi casi di cancro all’anno.
Già prima di febbraio il Paese presentava uno dei tassi più alti di mortalità per tumori infantili a livello globale. Si stima che più di 1.500 bambini malati di cancro fossero in terapia all’avvio del conflitto. Due recenti studi, il primo pubblicato su Lancet, l’altro a cura dell’European Cancer Organisation, analizzano l’impatto delle ostilità sull’erogazione di radioterapia e sulle forniture di farmaci anti-tumorali. «A differenza di molti altri Paesi in guerra, la popolazione ucraina ha avuto accesso a un sistema di cura del cancro moderatamente ben sviluppato», si legge nello studio pubblicato su Lancet con il titolo “Radioterapia durante un conflitto: lezioni dall’Ucraina”.
«Prima della guerra, la radioterapia veniva erogata in gran parte del territorio, in 52 centri con 106 macchinari per radiazioni». Dopo i primi due mesi di scontri, di quella cinquantina di strutture, 13 apparivano ubicate in territori sotto occupazione russa (alcune a seguito dell’ultima invasione, altre dal 2014), due risultavano distrutte, molte altre avevano problemi alle apparecchiature. La radioterapia è particolarmente suscettibile agli effetti di un conflitto per «l’impatto provocato sui macchinari dalle vibrazioni e per la necessità di alimentazione elettrica costante. Bombardamenti aerei o colpi di artiglieria, anche se non diretti contro gli ospedali, hanno interrotto o bloccato apparecchiature così sensibili». Intanto, i centri radioterapici dell’Ovest ucraino hanno registrato un aumento di pazienti «fino a oltre il doppio di prima della guerra».
Oltrepassare i confini nazionali per cercare cure adeguate potrebbe non bastare. In Ungheria, Moldavia, Polonia e Romania, dove gli ucraini si sono riversati, i tassi di forniture di radioterapia pro capite sono già molti inferiori a quelli raccomandati. Ma c’è di più.
«Immaginate di fuggire da una terribile guerra mentre soffrite di una grave malattia come il cancro. Una volta raggiunta un’area più sicura, venite a sapere che la medicina vitale di cui avete bisogno non è disponibile.
In Europa, la fornitura di medicinali è troppo fragile e le carenze si verificano troppo spesso», ha denunciato Mirjam Crul dell’European Cancer Organisation alla presentazione di un rapporto diffuso a giugno. La ricerca, realizzata tra farmacisti di 46 centri oncologici di sette Paesi confinanti con l’Ucraina, ha evidenziato che il 36% delle strutture presenta una carenza di farmaci contro il cancro. Eppure mantenere una continuità della cura talvolta è questione di vita o di morte. Per questo l’European Cancer Organisation ha dato vita a una rete di lavoro sull’impatto della guerra in Ucraina, che include 300 organizzazioni di professionisti e pazienti. La rete ha posto all’attenzione di governi, Ue e Oms le urgenze da affrontare, dalle informazioni sull’accesso alle cure nei Paesi di arrivo, all’urgenza di coordinarsi per il recupero digitale da remoto delle cartelle cliniche.
Dall’impegno della rete è nata una piattaforma (onco-help.org) con risorse multilingue da una trentina di Paesi di accoglienza, tra “hotline” dedicate, contatti con società di Oncologia, liste di ospedali oncologici. Di fronte a questa promettente mobilitazione per i malati ucraini, l’auspicio è che il tentativo di coordinamento internazionale possa giovare anche a pazienti in arrivo da altri luoghi disgraziati del pianeta in cerca di una speranza per vivere.
Perché il cancro non bada certo a passaporti, nazionalità né a latitudini di provenienza di chi ha avuto la sventura di ammalarsi.