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Analisi. L'avanzata impetuosa dell'ultradestra in Germania: perché è successo?

Giorgio Ferrari mercoledì 4 settembre 2024

Bjoern Hoecke, candidato principale del partito di estrema destra AfD per le elezioni regionali in Turingia, a un dibattito televisivo

«O Germania, pallida madre! Come t’hanno ridotta i tuoi figli, che tu in mezzo ai popoli sia o derisione o spavento!» Quell’invocazione di Bertolt Brecht vale oggi più che mai. Oggi che i mostri sono alle porte. I mostri sono venuti da lontano. E stavano già arrivando prima ancora che iniziasse il Merkeldämmerung, quel crepuscolo wagneriano che preludeva all’uscita di scena di Angela Merkel. Ma era già troppo tardi. Ora, con le recenti elezioni nei Länder di Sassonia e Turingia, con la vigorosa affermazione di Alternative für Deutschland e della sinistra sovranista di Bsw (movimento xenofobo, populista e filorusso creato da Sahra Wagenknecht), è tutto tristemente più chiaro. I prodromi, si diceva, erano visibili già quindici anni fa, ma il solidificarsi di quell’anima nera che si snoda come un serpente attraversando svariate contrade d’Europa è fenomeno più recente. Soprattutto in Germania.

Meno di due anni fa un gruppo di estrema destra che negava la legittimità della Repubblica Federale – parente stretto di quel QAnon che aveva ispirato l’assalto a Capitol Hill a Washington il 7 gennaio 2021 – progettava un blitz al Bundestag teorizzando la rinascita dell’impero germanico sotto la guida del principe Heinrich Reuss XIII, un settantunenne uomo d’affari che radunava nelle stanze accoglienti del suo castello di Bad Lobenstein in Turingia una nutrita pattuglia di cospiratori di rango: di militari, politici, industriali. Con il sogno inconfesso di un Quarto Reich, xenofobo, nazionalista, antidemocratico, contrario perfino alla riunificazione tedesca. Le parole d’ordine della destra sovranista e della sinistra populista sono poche ma esplicite. Una di esse è “remigration”, traducibile con remigrazione, ovvero rispedire a casa i richiedenti asilo, gli immigrati regolari e i cittadini di origine straniera “non assimilati”. E proprio quel “non assimilati” finisce per richiamare alla memoria il Protocollo di Wansee, la Conferenza che nel gennaio del 1942 vide i nazisti approntare la Soluzione Finale. L’avanzata impetuosa delle destre e dei populismi si avvale peraltro di dispositivi e stratagemmi di accertata efficacia: le fake news, il ribaltamento dei valori, la realtà come pensiero magico, la tradizione come mitizzazione del passato, la studiata ignoranza dei rapporti di causa-effetto e soprattutto – la Russia di Putin docet - la storia riscritta ad uso dell’autocrate.

Senza dimenticare che il leader della turingia Björn Höcke, uno dei fondatori di Der Flügel, la frangia più dura di Alternative für Deutschland, è lo stesso demagogo che ha definito il Memoriale dell’Olocausto berlinese «un monumento alla vergogna che tradisce i veri valori germanici». Fermiamoci qui. E domandiamoci: perché è accaduto tutto ciò? Se lo chiede in queste ore anche il cancelliere Olaf Scholz, con la sua Spd ridotta a brandelli, la un tempo vittoriosa Cdu-Csu tallonata e superata da Afd, i verdi dispersi e la Germania che guarda nell’ombelico della recessione e si domanda che fine abbia fatto la scintillante locomotiva d’Europa che metteva tutti in riga. Le risposte sono molteplici. Una di queste è il fatto che con la riunificazione i cinque Länder della ex Ddr non hanno mai formalmente aderito alla Germania ma sono più semplicemente stati annessi come province della Repubblica Federale Tedesca. La rivolta antieuropea nasce anche da qui. Ma pure l’atteggiamento di Berlino nei confronti del conflitto in Ucraina ne è in parte responsabile, insieme alla diffusa ottusità dell’intera classe dirigente europea nell’aver sistematicamente ignorato la portata del pericolo che sovranismi e populismi andavano costituendo, limitandosi a circoscriverne di volta in volta gli spazi di manovra, come se bastasse cauterizzare le ferite della democrazia senza mai provvedere a risalire alle sue cause.

In realtà l’Europa era diventata da molto tempo terreno di caccia dell’antipolitica, allineando falangi di gruppi anti-sistema, dai nazionalisti polacchi del Pis di Jarosław Kaczy ski agli ungheresi dello Jobbik, dai post-franchisti andalusi di Vox agli squadristi belgi di Vlaams Belang, dal Rassemblement di Marine Le Pen all’ all’Fpö austriaco, agli xenofobi olandesi di Geert Wilders. Tutte sigle a loro modo destabilizzanti sul piano elettorale, che in comune hanno il progetto di una rivincita sulle rovine dell’Unione Europea, in nome di un opaco nazionalismo identitario. Una previsione ci sentiamo di farla. Non ce la faranno. Non ce l’hanno mai fatta i sovranismi e le spinte xenofobe e non ce la faranno nemmeno stavolta. Ma l’Europa dovrà rimboccarsi le maniche. E subito.