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Ucraina. L’asse tra lo zar Putin e il suo cuoco sconfitto nel pantano di Bakhmut

Francesco Palmas giovedì 13 aprile 2023

Sei secoli prima di Cristo, il grande stratega cinese Sun Tzu ammoniva già: « Non bisogna attaccare le città se non quando non vi sia altra scelta, ma è sempre la peggiore delle decisioni». Verrebbe da dire che, ostinandosi a Bakhmut, i russi hanno letteralmente calpestato la storia. Eppure venivano dall’amara esperienza di Grozny (1995). Inutile anche quella. L’Armata rossa pensava di risolvere la pratica in poco tempo e invece Bakhmut le resiste da quasi un anno. La sua tragedia rievoca quella di Cartagine (149-146 a.C.). Trasuda di morti, distruzioni immani e battaglie infinite.

Combattere in città, oggi, è impresa che pochi eserciti sanno compiere. Richiede ottima intelligence, armi di precisione, coordinamento interarma e supporto aereo sinergico. Tutte qualità che Mosca non ha. A Bakhmut, tutto le si è ritorto contro: case, muri, incroci, viali stretti, cave, tunnel, anfratti. Le alture sono state trasformate in centrali di fuoco, mentre gli edifici più alti sono diventati nidi per cecchini. Ogni volta, i difensori hanno logorato gli attaccanti, mietendo stragi. I mercenari della Wagner si sono dissanguati. In undici mesi, hanno perso gli uomini più esperti e si sono ridotti a combattere con avanzi di galera, carne da cannone priva di valore militare effettivo.

Quei miliziani inesperti si sono trovati di fronte difensori abili, depositari dei segreti della città. Non poteva essere diversamente. Lo si era già visto nelle battaglie di Falluja (2004) e di Mosul (2017), ma i russi si sono piccati di essere più bravi degli americani e degli iracheni. Che errore. Gli ucraini conoscono Bakhmut molto meglio di loro. Con meno effettivi hanno bloccato sistematicamente gli itinerari urbani, minando gli assi di avanzata. I loro team anticarro hanno decimato i blindati che si avventuravano in città. Ecco perché i russi sono avanzati a tentoni. Bakhmut è stato un tritacarne, di uomini e di rapporti un tempo inossidabili. Quello tra Wagner e il Cremlino è un sodalizio ormai agli sgoccioli, distrutto da una battaglia più dura del previsto. Negli ultimi quattro mesi, Putin ha preso le distanze da quegli scapestrati. Si è circondato di nuove milizie, che oscurano i sogni di Wagner e ne congelano le brame di potere. Lo zar non ha mai tollerato le mire politiche di Prighozin, numero uno della milizia, soprannominato il «cuoco dello zar » per via del passato da ristoratore. Né ha mai digerito le critiche mosse dal neo-capetto ai suoi fedelissimi, Shoigu e Gerasimov, ministro della Difesa e capo delle forze armate. Ritiene l’uomo inaffidabile.

Prighozin l’ha ingannato più volte: « Bakhmut è nostra», gli diceva instancabilmente, subito smentito dai fatti. Ha proclamato vittoria anche il 2 aprile scorso, poi si è saputo che gli ucraini tenevano ancora i sobborghi meridionali della città. Che cosa aspettarci adesso? L’intelligence britannica dice che il vento è cambiato. Parla di uno slancio russo rinnovato e di una manovra più articolata, grazie a un modus vivendi fra Wagner e la Difesa, pronta ad appoggiare i miliziani «con più artiglierie e truppe scelte (Vdv)». Sarà la svolta tanto attesa? Chissà. Lo ‘slancio’ russo si è tradotto per ora in un’avanzata di un centinaio di metri. Lo stesso Prighozin è prudente. Prevede «ancora tre settimane di duri scontri. Poi sarà vittoria». Presto o tardi Bakhmut cadrà, ma il prezzo pagato offuscherà ogni gloria.