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REPORTAGE. Laos, un futuro che non decolla

domenica 6 marzo 2011
Quattro secoli e mezzo fa, con una mossa all’apparenza sconsiderata, re Setthathirat fondava l’attuale capitale laotiana Vientiane. A spingere allora l’antico sovrano ad abbandonare le rive settentrionali del Mekong e a dare vita a un nuovo centro del suo potere più a Sud lungo il grande fiume, fu la minaccia dell’invasione birmana; oggi sono gli investimenti cinesi, thailandesi, singaporeani, giapponesi, europei a mettere a rischio l’indipendenza del Paese, ricco di risorse, a partire dalle sue foreste e dai suoi impetuosi corsi d’acqua. Mentre nuove infrastrutture servono soprattutto agli interessi immediati degli investitori e delle élite locali legate al partito unico, il reddito complessivo non sembra risentire dei tanti progetti di origine straniera e quello pro-capite annuo (320 dollari) resta tra i più bassi del continente e del Pianeta. Nonostante gli investimenti massicci, le prospettive restano incerte per almeno due ragioni. La prima, il basso livello di sviluppo; la seconda, il costo che comunque queste realizzazioni hanno o avranno sulla vita delle popolazioni in un territorio aspro e fragile. «Una nuova era di crescita, sviluppo e riduzione della povertà»: con queste parole il presidente della Banca asiatica per lo sviluppo, Haruhiko Kuroda, ha salutato nelle settimane scorse l’inaugurazione del maggior progetto idroelettrico finora costruito in Laos, quello di Nam Theun 2, con una capacità di 1.070 megawatt. Con un’avvertenza, oltre il trionfalismo d’occasione, che «l’importanza di questo progetto sull’economia laotiana non deve essere sopravvalutato». Una cautela che gioca su due elementi. Dopo cinque anni di lavori e con un costo di oltre 1 miliardo di euro, l’impianto comincerà a fornire elettricità alla confinante Thailandia a partire dalla fine di questo mese di marzo. Inizieranno così a fluire nelle casse statali i due miliardi di dollari previsti nei 25 anni di durata del contratto con un consorzio che include il governo laotiano, Electricité de France e l’Azienda elettrica di Stato thailandese. La vicenda della seconda centrale costruita sul Nam Theun, affluente del Mekong, è a suo modo emblematica della realtà laotiana. Paese poco più piccolo dell’Italia, senza sbocco al mare, ricco di risorse idriche e forestali, dove convivono sette milioni di abitanti di grande varietà etnica e linguistica, fa fatica a mantenere autonomia di scelte, indipendenza economica e ancor più l’identità sopravvissuta al conflitto vietnamita e, dal 1975, tra le contraddizioni del regime comunista guidato dal partito Pathet Lao. Una realtà fragile, che va lentamente cedendo. Crescono gli investimenti cinesi e da Pechino arriva anche il 32 per cento del sostegno internazionale al Laos. Con la costruzione di aree di sviluppo al confine, ponti, strade e ferrovie, la Cina popolare sta integrando sempre più le sue regioni meridionali con il vicino, determinante anche per i suoi rapporti sempre più stretti con l’Asean (Associazione delle dieci nazioni del Sudest asiatico), di cui il Laos fa parte. Aggirati dall’economia e dalla politica, nascosti tra le pieghe dei rapporti internazionali, restano numerosi problemi irrisolti, locali e transnazionali: trattamento delle minoranze, uso di stupefacenti, persecuzione religiosa, per elencare solo i maggiori. Paese dalla molte risorse e dalle tante etnie, ma politicamente asservito a un solo partito, il Laos costringe, infatti, le fedi religiose presenti sul suo territorio al silenzio, sovente nella repressione.Enclave cristiane si trovano soprattutto tra le minoranze etniche (a partire da quella Hmon, perseguitata per la fede ma anche per il suo ruolo nel conflitto a fianco degli Usa) e il numero complessivo dei battezzati è consistente (150mila, di cui meno della metà i cattolici organizzati nei vicariati apostolici di Vientiane, Luang Prabang, Paksé e Savannakhet), ma il suo volto di base è buddhista e il buddhismo costituisce per i laotiani un elemento identitario e, al contempo, l’unica forza alternativa al potere politico. È del tutto normale che ciascun maschio laotiano passi un certo periodo della vita in un monastero come novizio e questo si aggiunge l’attaccamento della popolazione alla dottrina del Buddha e il suo sostegno alle istituzioni buddhiste, che permette di acquisire meriti e proseguire più spediti sulla via della Liberazione. Ai monaci ci si rivolge per i riti quotidiani, le occasioni festive e i momenti di passaggio della vita personale e sociale; monasteri e templi sono sottoposti alla benevolenza del governo, che sovente nella storia recente ha usato le armi della repressione e del ricatto per tacitarne proteste e rivendicazioni. Ricerca di sviluppo e mantenimento degli equilibri ecologici, modernità e tradizione nei modi di vita, indipendenza e sempre maggiore influenza straniera, socialismo e rivendicazioni democratiche... I dualismi profondi del Laos si estendono anche alle sue due maggiori città. Indaffarata e moderna, con più velleità che eccessi, Vientiane si affaccia da una piana polverosa sulla riva del Mekong a fronteggiare l’ingombrante e indispensabile vicino thailandese. Quieta e tradizionale, città di templi e monumenti, Luang Prabang, l’antica capitale, che è sbocco sul grande fiume di comunità contadine e tribali, che popolano le valli tra le montagne ricoperte di foresta. Tra i due estremi, un Paese in bilico sul proprio futuro.