Pandemia. L'Africa senza mezzi: «A noi medici solo due guanti al giorno»
Operatori in attesa di distribuire cibo ai senzatetto a Città del Capo in Sudafrica
E' appena passato il tramonto in una strada sabbiosa di Ngor, un quartiere popolare della capitale senegalese, Dakar. Due uomini sono seduti a parlare mentre riscaldano il caffè sul fuoco davanti al loro modesto negozio. Le strade sono vuote e regna una strana pace. Nella vita precedente al Covid–19, entrambi avrebbero passato le prossime cinque ore così, interrotti solo dall’arrivo di qualche cliente. Invece, un furgone blindato a fari spenti esce all’improvviso dall’oscurità e frena bruscamente davanti a loro. Un gendarme al volante spalanca la portiera, pronuncia poche parole, e sbatte nel retro del veicolo uno dei due uomini. All’altro non gli resta che incamminarsi frettolosamente verso casa.
Da quando è stato prolungato lo stato d’emergenza in Senegal fino a inizio maggio, il coprifuoco notturno è uno degli aspetti più difficili da far rispettare. «Molti senegalesi vivono alla giornata con mestieri che gli permettono di mangiare solo in base a quello che vendono in strada – afferma Omar Diagne, impiegato di banca, costretto come gran parte dei suoi colleghi a lavorare da casa da alcune settimane –. Il governo senegalese deve provvedere almeno al sostentamento economico dei più disagiati, altrimenti per chi avrà fame non gli resterà che ribellarsi». Da quando la pandemia ha raggiunto il Senegal a fine febbraio, uno dei primi Paesi a essere colpito in Africa sub–sahariana, resta ora solo il piccolo Stato del Lesotho ad essere risparmiato dalla crisi. Il resto del continente ha superato gli 11mila contagi e i 500 morti. Cifre sottostimate a causa dell’impossibilità di testare la popolazione in maniera più massiccia. «Il virus è stato lento nel raggiungere il continente africano, ma l’infezione è cresciuta esponenzialmente nelle ultime settimane – ha dichiarato Matshidiso Moeti, direttore regionale per l’Africa presso l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) –. Il Covid–19 ha il potenziale di provocare migliaia di morti e scatenare devastazioni economiche e sociali». Negozi e ristoranti chiusi, mobilità limitata, frontiere serrate, incontri religiosi vietati. Tali misure sono state imposte a volte con la violenza come in Sudafrica, dove i casi sono quasi duemila e i morti 70. «Abbiamo la più alta percentuale di persone sieropositive nel mondo – spiega la sudafricana Kogie Naidoo, ricercatrice sull’Hiv/Aids –. Le conseguenze del coronavirus potrebbero essere devastanti nei prossimi mesi». Sebbene anche tra gli africani gran parte dei decessi legati al virus colpisce gli anziani, sono diversi i giovani che muoiono a causa della mancanza di medici, letti per la terapia intensiva e respiratori. Di questi ultimi ce ne sono meno di 20 in Zimbabwe, 80 in Sudafrica, “solo” 500 per 200 milioni di abitanti in Nigeria, e appena tre per cinque milioni di centrafricani.
«Il Togo non ha adottato alcuna misura sanitaria seria per combattere il Covid–19 – afferma un medico al pronto soccorso dell’ospedale pubblico Sylvanus Olympio nella capitale togolese, Lomé –. Siamo sprovvisti di mascherine e abbiamo solo un paio di guanti al giorno per fare il nostro lavoro rischiando di essere contagiati». Le Nazioni Unite stanno infatti facendo appello affinché il resto del mondo, impegnato nella propria crisi di Covid– 19, non dimentichi l’Africa. «Il virus si diffonderà velocemente anche nel Sud del pianeta, dove i sistemi sanitari sono fragili – ha scritto Antonio Guterres, numero uno dell’Onu, in una lettera ad Avvenire –. In Africa la gente è più vulnerabile e milioni vivono in sobborghi densamente popolati o in campi per rifugiati e sfollati». Oltre al settore sanitario, sono profonde le preoccupazioni per l’economia del Paese. La crescita si è dimezzata dall’inizio della pandemia. Secondo Banca mondiale, in Africa subsahariana ci sarà «una perdita annuale che potrebbe raggiungere i 79 miliardi di dollari». L’Africa, per gli esperti il «tallone d’Achille sanitario del mondo», ammette di non essere pronta.