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L'intervista. «L’Africa paga per vecchi errori Stop alle pratiche del passato»

Daniele Zappalà domenica 29 dicembre 2013

«A causa dei conflitti in corso, il 2014 comincerà in modo com­plicato per l’Africa. Ma nelle o­recchie della nuova generazione, risuona pure la lezione di Nelson Mandela, quella del perdono anche quando tutto sembra disperato». Alfiere storico del panafricani­smo e già alla guida dell’Organizzazione dell’unità africana (Oua), il togolese E­dem Kodjo, classe 1938, si è ufficialmen­te ritirato dalla vita politica e diplomati­ca. Ma il suo impegno per l’Africa conti­nua, soprattutto grazie alla fondazione “Pax Africana”.Perché le immani risorse africane non as­sicurano ancora uno sviluppo armonico? Certamente, paghiamo alcuni errori. Pen­so allo scandalo di quei Paesi dove la sco­perta del petrolio ha spinto ad abbando­nare l’agricoltura. L’economia africana de­ve reggersi su due piedi e uno è l’agricol­tura. Quanto ai giacimenti, è giunto il tem­po di contratti più equi, dato che finora le grandi potenze hanno imposto ritmo e me­todo talora in modo sovrano. Le compe­tenze tecnologiche occidentali restano in­dispensabili, ma spero che le prime ini­ziative in corso per debellare le pratiche del passato, compresa la corruzione mas­siccia, aprano una nuova era di condivi­sione. Fra politici e addetti ai lavori, c’è sempre chi addita la crescita demografica. Nel continente sono in atto politiche, finan­ziate a livello inter­nazionale, che appli­cano concetti come la «salute riprodutti­va »: cioè aborto, con­traccezione, steriliz­zazione. Che ne pen­sa? È una prospettiva malthusiana di con­trollo delle nascite che ignora alcuni valori africani centrali. E quando si trascura la cultura, s’ignora l’es­senziale. Sarebbe assurdo tentare in Afri­ca quanto si è visto in Cina. Lo sviluppo ri­chiede politiche economiche equilibrate, senza focalizzarsi ciecamente sulla nata­lità, anche se è innegabile che essa rap­presenta una sfida. Gli Stati africani sono abbastanza maturi per trovare i propri e­quilibri, senza far ricorso a soluzioni malthusiane prefabbricate e importate. I valori religiosi in generale possono con­trastare mali diffusi come la corruzione o la violenza armata?  Le religioni restano un baluardo. È vero tanto per i cristiani, quanto per i musulmani. È be­ne denunciare le deri­ve fondamentaliste, ma senza dimenticare che le religioni sono o­gni giorno essenziali al buon equilibrio del continente africano, dove restano molto ra­dicate. Tentare di estir­pare o relativizzare questa dimensione sarebbe disastroso. Il jihad recluta attivamente in Africa. Co­me lo spiega? In alcune regioni, contribuiscono la mise­ria e la disperazione. Ma in ogni caso, il fondamentalismo è sempre una forma di aggressione, dato che spinge verso opzio­ni assurde e di morte. Resta una sfida che l’Africa non può sottovalutare. Cosa prova di fronte ai barconi della di­sperazione in rotta verso l’Europa? Un’infinita tristezza. Ogni volta è una di­sfatta. Questa gente ha spesso un’imma­gine dell’Europa falsata da televisione e ci­nema. Senza formazione e studi, in realtà, non ci sono possibilità di successo. Ma l’Europa non risolverà il problema con la repressione o chiudendosi come un forti­no. Occorrono più flessibilità e umanità.La sua fondazione si batte per la pace in Africa. Ma nuovi focolai insanguinano il continente… Quanto accade nella Repubblica Centra­fricana o nel Sud Sudan mi sorprende. Non credevo possibili tali esplosioni in simili contesti. Nel Sud Sudan, l’indipendenza sembrava aver corretto i drammi del pas­sato. Ma al contempo, vorrei ricordare che l’Africa è un continente gigante. Attorno a questi conflitti drammatici, tanti Paesi continuano ogni giorno a crescere e spe­rare. In passato, abbiamo sormontato guerre particolarmente cruente, come in Liberia o in Sierra Leone. Anche oggi, l’A­frica ce la farà.