L'eccezione. La vita com'era: Svezia tutta aperta
Se per un attimo vi venisse voglia di tornare a dare un’occhiata a com’era la vita prima del coronavirus è fino a quassù che, restrizioni permettendo, dovreste avventurarvi. Tra i ristorantini di Gamla Stan, la città vecchia, nei mercatini vintage di Södermalm, dentro ai negozi di Norrmalm: a Stoccolma niente vi parlerebbe del Covid–19. Non i bar che continuano a servire i clienti né i parchi in cui ancora a migliaia si riversano per un picnic e i bambini correvano spensierati. Per non parlare delle palestre o delle scuole, in cui le lezioni proseguono. Insomma, la parola “lockdown” qui in Svezia non hanno nemmeno iniziato a declinarla, né hanno intenzione di farlo. E in giro una persona con la mascherina non la incroci nemmeno per sbaglio.
Le uniche precauzioni che gli svedesi sono stati esortati (non obbligati) ad adottare prevedono di stare lontani da assembramenti con più di 50 persone, di evitare contatti sociali se si hanno più di 70 anni o se si è malati, di provare a lavorare da casa e, per i locali pubblici, di lavorare solo con servizio al tavolo. Bastano queste cautele, si è convinta gran parte dell’opinione pubblica, perché le immagini–choc degli ospedali italiani o spagnoli restino confinate agli schermi televisivi. D’altronde è stato lo stesso primo ministro, il socialdemocratico Stefan Löfven, a esortare gli svedesi a comportarsi «da adulti» e a non diffondere «panico o rumors». «Eppure anche qui qualcuno comincia a chiedersi: sono gli altri a essere paranoici o è la Svezia che sta sbagliando tutto?». La riassume così Orla Vigsö, docente di Comunicazione di crisi all’università di Göteborg, questa strategia tutta svedese. Perché da quando il Regno Unito ha abbandonato in tutta fretta l’idea dell’immunità di gregge (al prevedibile prezzo di qualche decina di migliaia di morti), la Svezia è rimasta l’unico Paese europeo (con l’eccezione parziale dell’Olanda) a vivere «business as usual», rifiutando l’idea di chiudere tutto e vietando solo le visite nelle case di riposo.
Funzionerà? C’è chi lancia l’allarme visto che la curva dei contagi ha già preso a impennarsi: su 10 milioni di abitanti – e con appena 36mila tamponi effettuati – ieri erano 4.435 i casi e 180 i morti (lunedì 3.700 e 110, sabato 3.060 e 105). Anders Tegnell, capo epidemiologo del Paese, di «immunità di gregge » non vuole sentir parlare. È lui che guida la gestione della crisi e a parlare semmai di «strategia di mitigazione»: consentire al virus di diffondersi lentamente senza ingolfare il sistema sanitario e senza restrizioni draconiane. «Non serve fare di più – dice –. È molto meglio introdurre misure stringenti ad intervalli specifici e lasciarle in vigore il meno possibile».
Nessuno, nemmeno il governo, potrebbe cambiare più di tanto le cose. L’autonomia delle autorità amministrative, come l’Agenzia per la salute pubblica, è iscritta nella Costituzione svedese, che proibisce all’esecutivo, anche volesse, di immischiarsi. Pareri contrastanti, però, ce ne sono. Basta leggere la petizione firmata da oltre 2mila medici ed esperti scientifici che chiedono misure più stringenti. «Non stiamo conducendo abbastanza test né isolando i contagiati, abbiamo lasciato il virus diffondersi, ci stanno portando alla catastrofe», sottolinea l’immunologa Cecilia Söderberg–Nauclér del Karolinska Institute. Tegnell, però, è netto e spiega che l’intero sistema di controllo delle malattie infettive in Svezia è su base volontaria, senza costrizioni. Certo Stoccolma, almeno dal punto di vista economico, spera di riprendersi prima degli altri dalla crisi coronavirus. Ieri il governo ha stimato che il Pil 2020 potrebbe calare del 3,8% e la disoccupazione salire al 9%. Eppure già nel 2021 il Pil potrebbe tornare a salire del 3,5%. Nessuna stima, quello ancora no, sul costo della «mitigazione» in termini di vite umane.